La realtà dei numeri e la narrativa della sicurezza
Alessia
I numeri intorno alla criminalità in Italia sono stati raccolti nell’apposita sezione dell’ultimo rapporto di Antigone: Senza respiro (disponibile qui).
Leggere numeri e statistiche, prenderli a baluardo dei discorsi e delle riflessioni che sostengo, di solito non mi piace. La parzialità dei numeri e la pretesa di assolutezza della verità scientifica credo che spesso non riesca a rappresentare le moltitudini della realtà che si vive. Certo, i numeri ci dicono sempre qualcosa, questo non è negato. E mentre leggo il XXI Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione, mi richiama la voce “criminalità”.
Prima di arrivare ai numeri, penso a come mi ci approccio. E penso alle persone che entrano effettivamente in carcere. Non posso non pensarci, soprattutto perché in questi giorni è stato approvato un decreto che criminalizza la povertà, il dissenso, la protesta pacifica, la voce e i pensieri delle persone e che legittima (più di prima) la violenza istituzionale; nonché privilegia uno stato di polizia. Tutto questo conta mentre apro l’approfondimento di Antigone sulla criminalità: i numeri smonteranno gli allarmismi e il clima di urgenza alla sicurezza, penso. Mi ricordo infatti di Chi va in carcere:
Il 29 gennaio 2025, S.R. ha scelto la morte nel carcere di Vigevano. Era un dipendente dell’ATM di Milano. Come riportato da Fanpage.it era stato arrestato per una rapina di 55 euro commessa nel gennaio 2020. Nonostante avesse un lavoro stabile, S.R. aveva problemi di alcolismo e soffriva di ludopatia: le condizioni che lo avevano portato a compiere il reato. Dopo l’arresto nel dicembre 2024, il suo avvocato aveva richiesto misure alternative alla detenzione, evidenziando il grave stato depressivo del cliente e precedenti tentativi di autolesionismo.
La richiesta però non è stata accolta dal magistrato di sorveglianza che ha rigettato l’istanza, ritenendo necessario attendere ulteriori valutazioni mediche. Poco dopo aver ricevuto una comunicazione dall’azienda circa un possibile licenziamento, il gesto estremo.
Criminalità pure è un termine critico, banalizzato e romanticizzato da mezzi artistici pregni di fetish sulla “devianza” (qualcuno l’ha chiamata pornografia della violenza) e studiato, spulciato, messo in caselle, dissezionato; un termine utilizzato come spauracchio e rivendicato come un nemico invisibile di un ordine sociale consolidato attraverso la repressione. Insomma, se guardo alla criminalità mi vengono in mente le recenti suggestioni di Francesca Cerbini sui diversi “eventi (ad esempio guerre e genocidi), luoghi (ad esempio le sale giochi), leggi (ad esempio la Legge Bossi-Fini o DDL sicurezza 1660)” che possono ledere le persone e la comunità: questi fatti e simili non incorrono in nessuna conseguenza di pena. L’arbitrarietà con cui si identifica un crimine mi fa interrogare sulla stessa esistenza del crimine come “atto intrinsecamente criminale”.
Un’analisi più approfondita dei primi semestri del quinquennio 2019-2024 mostra che nel primo semestre del 2019, le denunce avevano raggiunto quota 1.149.414. Confrontando questo dato con quello del primo semestre del 2024, si evidenzia una diminuzione, con 1.121.866 denunce. Questo calo non è solo significativo rispetto all’inizio del periodo analizzato, ma si manifesta anche rispetto al primo semestre dell’anno precedente (2023), quando le denunce si erano attestate a 1.134.766. Questi dati semestrali suggeriscono una possibile nuova fase di contrazione della criminalità, almeno nella prima parte degli anni più recenti. – Criminalità, rapporto Antigone 2025
Si confermano come reati più frequenti in Italia, quelli della categoria “contro il patrimonio”, a seguire quelli “contro la persona” e infine quelli “in materia di stupefacenti“. Questi numeri dicono, come esplicita la stessa Antigone, che il nostro sistema penale e “di giustizia” favorisce l’incarcerazione per reati non violenti. Di nuovo, guardiamo alla serie dei neonati reati: riguardo il carcere in particolare ne ha parlato anche Nello Trocchia. Introdurre il reato di resistenza pacifica in carcere significa che – spiega il giornalista – quando le persone detenute non hanno garantiti i diritti fondamentali (mettiamo del cibo sano, buono, sufficiente) e decidono di mettere in atto una protesta per rivendicarli (ad esempio, la battitura) possono incorrere in reato. Quindi più anni di galera.
Galera che come sappiamo è al collasso. I numeri della detenzione raccolti da Antigone sono drammaticamente importanti anche in questo senso.
Cosa mi dicono i numeri su una complessiva criminalità “stabile” e tendente a una decrescita, antecedenti l’aumento dei reati in nome della sicurezza?
Dicono che c’è un evidente paradosso teorico,certo strategico: aumentare le pene per legittimare la repressione delle marginalità e l’uso della forza fisica da parte dello stato in nome di un’emergenza criminalità che inizia a esistere proprio nel momento in cui il DDL 1660 è stato approvato.
Questi numeri dicono che i prossimi potrebbero salire: non a causa dell’aumento del crimine, piuttosto in conseguenza all’aumento della criminalizzazione.
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