«Ma una volta ridotto il carcerato a soggetto astratto; una volta “annullata” la sua diversità (fino allo smarrimento che accompagna la solitudine del soggetto irrelato dal sociale); una volta messolo di fronte a quei bisogni materiali che non può più soddisfare autonomamente; resolo così completamente dipendente dalla/alla sovranità amministrativa; a questo prodotto, infine, della macchina disciplinare viene imposta l’unica alternativa possibile alla propria distruzione, alla propria follia: la forma morale della soggezione, la forma morale, cioè, dello status di proletario.» “Carcere e Fabbrica” (2018, D. Melossi, M. Pavarini)
Lavoro in carcere
Quali sono i lavori disponibili per le persone detenute all’interno delle carceri italiane? La lista che più volte mi è stata presentata nei vari racconti ascoltati in questi anni, è una lista relativamente breve, abbastanza prevedibile e segnata da quella particolarità infantilizzante del nostro sistema penitenziario che tende a rendere le parole più docili, più piccole, attraverso il suffisso quasi onnipresente “ino/a” (si pensi alla “domandina”); un suffisso che accompagna le parole quasi a rimarcare, una volta ancora, la differenza tra il dentro e il fuori. Spesinә, scopinә, portapacchi, scrivanә…
«Sì ma i lavori a turni, lo sai quali sono? Gli scopini, quelli so’ i lavori a turno. Il lavorante a piano, che poi te fanno fa un’ora diciamo al giorno, un’ora e mezza la sera, devi fa il piano e basta. Io c’ho il CUD del 2021 che stavo là e a fine anno ho guadagnato 190 euro. Ao, in un anno de lavoro ho guadagnato 190 euro. E l’INPS m’ha chiesto il CUD eh! Quando ho fatto richiesta della pensione m’ha chiesto il CUD del 2021. Io gli ho detto “Ao io stavo carcerato nel 2021”, gli ho mandato pure il certificato de carcerazione. Che devo fa? È così. » Domenico
Il lavoro in carcere è quindi principalmente volto alla gestione interna della quotidianità ristretta: dagli spazi ai pasti. È poco perché è solo quello, quindi insufficiente per tutte le persone che abitano le celle, così si fa a turno. Diventano sempre meno ore, quindi meno soldi.
*Foto Antigone Rapporto annuale 2024, “Nodo alla gola” (qui il link)
Gender gap
Cosa ci dice Antigone del lavoro in carcere per la popolazione detenuta femminile? È curioso lo stupore che può sorgere nel leggere che sono le donne in carcere a lavorare di più degli uomini. Tra le ragioni non è possibile ignorare la questione numerica, certo è che rappresentando una percentuale minore della popolazione detenuta totale, quella femminile sembra avere maggiore accesso al lavoro intramurario. Questo però non significa che possiamo per una volta non parlare di gender gap, anzi mi viene da dire che neanche in questa situazione ristretta riusciamo a trovare un modo per garantire un accesso equo e paritario al mondo del lavoro. Che poi, ricordiamolo, lavorare in carcere significa magari pulire un piano della sezione, per quanto? Due/tre ore?
Oltre ai numeri però, l’osservatorio di Antigone ci rende not3 di un fatto che poco ci stupisce invece: le offerte di lavoro e formazione riservate alle detenute sono orientate dallo sguardo stereotipato di una cultura patriarcale.
«È importante orientare la tipologia di offerta formativa proposta verso percorsi non stereotipati al femminile. Nel primo semestre del 2022, ultimo dato disponibile, sono stati 2.248 gli iscritti ai 197 corsi di formazione professionale attivati, di cui 242 (pari al 10,8%) donne. Se guardiamo invece ai corsi conclusi, sempre in quel semestre sono stati 163, cui erano iscritti 1.763 detenuti, di cui 90 (il 5,1%) donne. Per quanto riguarda i percorsi di istruzione, gli ultimi dati disponibili (al 31 dicembre 2021) ci dicono che il titolo di studio era stato rilevato per i due terzi delle donne presenti in carcere, ovvero 1.515 su 2.237.»
*Foto Antigone Primo rapporto sulle donne detenute in Italia (qui il link)
Tempo fa avevamo affrontato il discorso sulla formazione in carcere e sulle differenze di genere che caratterizzano i programmi:
Le persone detenute negli istituti femminili spesso sono sottoposte a stereotipi e aspettative tradizionali legate al “comportamento femminile”. Infatti vengono introdotte ad attività come il ricamo e l’uncinetto, in contrasto con la maggior offerta di attività prevista per la componente maschile. Un’ulteriore tendenza di differenziazione riguarda l’accesso a opportunità lavorative e formative: esiste infatti un’alta disparità nell’accesso agli studi universitari tra popolazione carceraria maschile e femminile.
Se ti interessa, puoi recuperarlo qui.
Questo focus fa parte della Campagna PID “Assorbire il cambiamento 2.0” – Un’iniziativa che prevede la donazione degli assorbenti in carcere, la realizzazione di laboratori e incontri all’interno di istituti penitenziari femminili e strutture di accoglienza per promuovere maggiore consapevolezza sul ciclo mestruale e sui “nuovi” prodotti igienico sanitari ecologici quali coppetta, slip mestruali e assorbenti lavabili. Leggi di più qui.