Cooperativa sociale che offre servizi di ascolto, orientamento, formazione, accoglienza rivolti a detenuti/e, ex detenuti/e e persone che vivono in condizione di disagio sociale.

Tag: diritti umani

Gli anni del Covid in carcere

Il periodo pandemico è ormai storia lontana, la guardiamo quasi con disorientamento, chiedendoci se sia successo davvero. Siamo stat3 chius3, nelle nostre case, con orari da rispettare, documenti da compilare per uscire, controlli, dispositivi di sicurezza … La quotidianità stravolta del nostro fuori si è forse avvicinata a quella di molte persone private della loro libertà, le quali hanno vissuto proprio in quel periodo l’acuirsi del disagio che versavano le loro “case” circondariali
DOMENICO

Quando sono uscito io non m’hanno fatto saluta nessuno perché era il periodo del Covid. 

Durante il Covid, in carcere

Io sono stato il primo a essere isolato  per Covid. Isolato.

Allora che è successo: c’avevo il raffreddore, non me sentivo bene e so andato in infermeria. “Dotto’, c’ho il raffreddore me dai qualcosa?” e lui mi ha dato un antibiotico per 5 giorni.

Il giorno dopo, stavo all’aria, mi sento chiamare e quindi vado di nuovo in infermeria. 

Boh, me comincio a preoccupa’.

Il dottore me dice: “Come sta?”. “Bene – gli ho detto – m’ha dato l’antibiotico ieri”.

M’ha messo il misurino sul dito, m’ha fatto passeggia’ per 5 minuti e poi m’ha detto: “Noi abbiamo disposizione che la dobbiamo isolare”. 

 

Era sotto Pasqua, me ricordo, era il 2021 o il 2019. Gli dico: “Come me devi isola? Io sto bene”. Eh, e m’ha isolato. M’ha mandato in una cella che era stata distrutta da un mattaccino. Era tutta rotta, pure il termosifone era rotto. Io ho fatto casino, ho chiamato il comandante e gli ho detto: “Io non prendo più la medicina…” E al dottore: “Ma lei manda la gente in isolamento senza vedere manco dove li manda…”  

 

Sono stato 15 giorni, gli chiedevo io a spese mia di fare il tampone. 

“Dotto’ famme il tampone. Te lo pago io, che dovemo fa?”

“No, le disposizioni non sono queste.”

“Ho capito ma io sto bene, perché devo stare 15 giorni isolato da solo?”

 

Che poi c’avevo un pezzetto d’aria che potevano esse quattro metri per tre?

‘Na cosa brutta è stata, il tampone non me l’hanno fatto, so’ stato 15 giorni isolato punto. 

 

Riguardo al Covid, l’unica cosa buona che ha portato è stato il fatto che potevi fa più telefonate e le videochiamate. Solo quello.

Potevi fare due telefonate a settimana di 10 minuti. Non c’erano gli incontri. Poi parlamose chiaro, noi dovevamo andare in giro con la mascherina, gli agenti tutti senza mascherina. E infatti c’è stato qualche agente che si è ammalato, è stato male, è andato in terapia intensiva.  Da quando sono cominciati i colloqui,dovevamo sta  tutti con le mascherine: noi, i parenti. Giustamente, quello che non capisco è perché io sono obbligato a mettere la mascherina e tu no. Questo non capisco.

Che poi rischiavi rapporto senza mascherina. Se te prendi rapporto, perdi 45 giorni de libertà anticipata. Qualsiasi cosa che fai te perdi 45 giorni.

Io in tutti sti anni de galera non me so mai pijato un rapporto, me credi? Niente, non ho perso un giorno. Quando sono uscito fuori, perché a 4 mesi dal fine pena mi hanno dato i domiciliari, una mattina non ho sentito i carabinieri che m’hanno sonato. Stavo sotto la doccia alle sette e dieci perché io uscivo alle otto, e non l’ho sentiti. Quando so ritornato alle 10 mi hanno chiesto: “Lei do’ stava alle sette e dieci?” “E do’ stavo? Stavo sotto alla doccia.” “No, perché lei non ha risposto.” “Eh ho capito ma mica era colpa mia non ve sentivo”.

Poi avevano pure il numero di telefono mio, mi potevano pure chiamare… Infatti quando siamo andati a causa, con l’avvocatessa, ho vinto la causa e sono stato assolto.

 

Però ho perso 45 giorni!

Riflessioni sullo “svuota carceri” e non solo

LIVIA 

Fa caldo, non facciamo che ripetere questa frase in questi giorni. Eppure in linea di massima abbiamo case più o meno spaziose ma comunque vivibili, abbiamo finestre da aprire, passeggiate da fare, il respiro del mare o la frescura della montagna.

Dopo oltre  20 anni di lavoro in carcere il mio pensiero non può che andare alle persone ristrette: spazi angusti e sovraffollati, sbarre alle finestre, porte blindate chiuse con solo uno spioncino, cemento come pavimento, umidità dalle pareti, bottiglie d’ acqua sui piedi come strategia di refrigerio e acqua che manca nelle docce e poi indignazione, mortificazione, insofferenza, rabbia, dolore, disperazione e tanto altro. 

 

Bisognerebbe capire una volta per tutte che la punizione prevista è la privazione della libertà, il resto sono diritti negati al limite della tortura.

Bisognerebbe decidere una volta per tutte se vogliamo essere uno stato che garantisce diritti a tutt𑇒, se davvero si crede in un concetto di detenzione riparativa e educativa oltre che punitiva e mortificante.

 

Tanto si parla in questi giorni di riforme per dare sollievo e respiro a questa situazione di sovraffollamento, misure tecniche semplici e già sperimentate che darebbero una parziale ma maggiore vivibilità. Ma gli interessi politici e le alleanze di partito sono più forti e importanti della sopravvivenza di chi, anche se colpevole, arriva a togliersi la vita pur di non stare in un carcere. 

Ci troviamo davanti ad una totale mancanza di lungimiranza da parte di chi ci governa, che invece di correre ai ripari spaventata da ciò che succede in una loro istituzione continua a discutere e rimandare decisioni importanti al fresco delle aule parlamentari.

La riforma proposta nei giorni scorsi, come già detto da esperti del settore, è vuota e non risolutiva ma per interessi interni e giochi di potere non si giunge ad una soluzione e si paventa all’ opinione pubblica l’uscita di orde barbariche di persone detenute per giustificare misure esclusivamente repressive.

Si aspetta forse qualche rivolta per giustificare la decisione di costruire nuovi carceri invece che depenalizzare e di investire in corpi speciali di polizia invece che in strumenti educativi.

E intanto siamo a quasi 60 suicidi da inizio anno di persone detenute, siamo di fronte ad un imbarazzante e rumoroso silenzio istituzionale che neanche il caldo e il suono delle cicale riescono a cancellare.

Suicidi in carcere

Oltre i numeri, le persone

ALESSIA

«Le persone detenute che dall’ inizio dell’anno e fino al 20 giugno 2024 si sono suicidate in carcere sono 44» si legge sul documento pubblicato sul sito del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà “Analisi suicidi in carcere 2024”. 

Seguono poi una serie di dati, di numeri, delle specifiche categorie che fanno pensare di avvicinarci meglio alle loro vite: uomini 42, donne 2, italian𑛂 24,  stranier𑛂 20 e così via. 

Se la guardiamo da una certa prospettiva, può sembrare che la pulsione a incasellare vite burocratizzate svuota di senso e significato le singole esistenze. A guardarle da fuori, attraverso nomi che danno caratteristiche approssimative, ci sembra di conoscerle meglio quelle vite, mentre ci allontaniamo ancora di più dalla realtà. Con questo non si nega l’importanza che – in una società burocratizzata – rappresentano questi dati, queste statistiche. Sui giornali vediamo, con una certa leggerezza, associare le persone che scelgono di porre fine alla propria vita con parole come “rischio record” e se ci sembra normale, se non ci si accappona la pelle allora l’oggettificazione dei corpi è completa, la cosificazione delle vite ha raggiunto i suoi picchi massimi. Ancor di più quando a morire sono le persone detenute.

Quello che ci proponiamo di fare, allora, è prenderci il tempo, percorrere queste perdite, sentirne tutto il peso e le responsabilità collettive di un’istituzione penitenziaria che sì, uccide sistematicamente.

Parlare di suicidio, già di per sè fa crescere un grosso magone. S’impone ai nostri sensi un disorientamento che colpisce quasi più forte di una perdita avvenuta in altri modi, in modi casuali, in quei modi comuni che non riusciamo spesso a spiegarci. Quando la morte è scelta restiamo paralizzati, le domande si moltiplicano, si pensa a tutte le parole che potevano dirsi per evitare quella perdita. Ci si sente responsabili pure quando, dopo tempo, ammettiamo che non si può conoscere fino in fondo il dolore di una persona. Restiamo in queste domande, osserviamo le ricorrenze. Perché una spiegazione forse esiste se i numeri aumentano ferocemente, se le persone recluse nelle carceri scelgono di abbandonare la vita piuttosto che attendere il fine pena.

Quali sono le condizioni di vita negli istituti penitenziari italiani?

Immaginiamo di convivere costretti in 6 mq in 4 persone, con i muri che trasudano il calore, senza poter chiamare o vedere una persona amica nel momento del bisogno e dovendo attendere le risposte per ogni minima richiesta. Avere 3 rotoli di carta igienica al mese, scrivere domandine su domandine per chiedere che so, una visita medica. Aspettare risposte, colloqui, sentenze. Aspettare che qualcuno ti ascolti, ti ricordi che sei un essere umano. Aspettare sempre, senza poter fare nulla per la tua vita, senza poter attivamente scegliere nulla: quando mangiare, quando dormire, quando incontrare chi ami. 

«Ci sono alcune espressioni che gli agenti usano spesso per imporre le loro decisioni. La più usata è “ricordati che qui sei in galera”. Tutto ciò di cui abbiamo bisogno viene concesso dall’istituzione e quindi bisogna chiedere, usando formule di gentilezza. In una situazione di estrema deprivazione si è sempre costretti a chiedere, e spesso si ottengono risposte negative. Piccole negazioni che non sempre hanno una giustificazione. E allora, la motivazione più convincente si rivela l’invito di non dimenticare mai il luogo dove ci troviamo. Ricordare di essere in galera ci serve ad accettare con rassegnazione ogni forma di privazione. Ho l’impressione che molti agenti credono che non siamo stati condannati abbastanza, che le condanne che ci sono state inflitte siano troppo leggere, e che loro devono in qualche modo fare qualche integrazione alla condanna. È chiaro come in un clima di questo tipo vi possono essere nella quotidiana burocrazia del carcere negligenze, rigidità, omissioni, disfunzioni organizzative che creano disagio e inutili sofferenze, che offendono la dignità delle persone soprattutto perché sono improntate al pregiudizio, a volte anche al razzismo, e sono comportamenti tanto più sgradevoli e offensivi quanto più sono sprovvedute e indifese le persone che ci vanno di mezzo.»  “Farsi la galera. Spazi e culture del penitenziario.” – a cura di Elton Kalica e Simone Santorso

Proprio ieri io, Livia e Sara parlavamo di questa problematica. I suicidi in carcere accendono i riflettori su una situazione completamente degenerata che si cerca di denunciare da tempo e da più fronti. E sembra che a far più scalpore, ad accendere maggiormente i riflettori, non siano bastati i suicidi delle persone recluse: è dovuto accadere che a togliersi la vita siano stati gli stessi agenti penitenziari. Triste pensare che solo allora abbiamo iniziato a renderci conto dell’invivibilità dell’ambiente carcerario, ancora più triste è non riuscire più a sostenere il posto in cui si lavora, tanto da scegliere di abbandonare la vita. 

Indicibile, invisibile, lontano. Il carcere chiuso in sé stesso, completamente isolato e abbandonato, un posto affollato di storie di vita. Come ha sottolineato Livia, il penitenziario è pur sempre un’istituzione dello Stato: cosa succederebbe se all’interno della scuola o dell’università si riscontrasse un alto numero di suicidi tra personale e corpo studentesco? Certo non quello che si fa con il carcere, cioè nulla. 

In un incontro organizzato dall’associazione Parliamo di carcere lo scorso 11 maggio, il garante dei detenuti del Lazio  Stefano Anastasia ha parlato del grande problema dei suicidi in carcere, individuando tra le cause primarie quella del sovraffollamento. Ha notato la macabra ironia nel passaggio di letti a castello a tre, una mossa che concretamente, in termini materiali di “altezza”, facilita di fatto l’impiccagione. 

Ci lasciamo così, con questa amara consapevolezza. Spero che chi poco si interessa a questi argomenti “di nicchia” capisca l’importanza di riflettere su modi alternativi di pensare le pene. La responsabilità di calpestare, stracciare, demolire a mano a mano la dignità e i diritti umani è di tutt𑛂 noi. I suicidi in carcere fanno parte di questa stessa responsabilità. 

Incontri – Assorbire il cambiamento

ALESSIA

Assorbire il cambiamento è il progetto che abbiamo promosso quest’anno, ormai lo sapete bene. Dall’otto marzo al ventotto maggio abbiamo raccolto gli assorbenti per le persone detenute in carcere e nelle strutture di accoglienza. In questi mesi abbiamo incontrato le esperienze di alcuni vissuti di dentro, ne abbiamo parlato, siamo stat3 dentro le storie di chi ha dovuto gestire in una quotidianità ristretta le mestruazioni.

Ripercorrendo nella mia mente le loro voci, i loro sguardi, i loro sorrisi sarcastici, mi rendo conto della continuità di tutti i racconti: gli assorbenti in carcere servono, quando arrivano non sono sufficienti, non sono per tutt3, non c’è possibilità di scelta

Chi lavora sì, chi ha una famiglia che può sostenerl3 va bene, chi trova la solidarietà del coabitare, in qualche modo le mestruazioni vengono gestite. 

L’obiettivo di “Assorbire il cambiamento” non è mai stato solo quello di donare assorbenti usa e getta o lavabili, come abbiamo detto più volte volevamo incontrare le persone: consegnare il materiale, ascoltare le loro esigenze, costruire insieme dei “laboratori” per parlare di ciclo abbattendo i tabù e presentare – grazie alla collaborazione con Camilla (Laboratorio sostenibile) – quei dispositivi lavabili e riutilizzabili che possono portare vantaggi economici, igienici ed ecologici importanti. 

 

Ora è arrivata la parte che preferisco, quella dell’incontro appunto. 

Incontro a Casa di Leda

Mercoledì io e Camilla siamo state a Casa di Leda, vi racconto un po’ com’è andata.

All’inizio, come succede quando guardi per la prima volta visi nuovi, siamo state sommerse dagli sguardi. Sguardi curiosi, diffidenti, infiltranti. Sono ormai due anni che percepisco quegli sguardi penetranti e non credo di saper spiegare bene cosa si provi nel’accoglierli, restano dentro. Cercano di indagarti. Sanno chi rappresenti, vogliono capire chi sei.

Ci accomodiamo in una stanza ricca di giochi per bambin3, c’è una tenda, dei libri, delle sedioline e un grosso tavolo. Con l’operatrice della struttura sistemiamo le sedie: mettersi in semicerchio è sempre una buona idea per guardarci in faccia e continuare quel gioco di sguardi. Arrivano una alla volta le donne di Casa di Leda e una bambina che ha da poco esperito il suo primo menarca. Questo forse, pensiamo con Camilla, lo renderà ancora più importante per qualcuno. Io da piccola mica ho avuto la possibilità di stare in una stanza a parlare di ciclo con sconosciute! Superato l’imbarazzo, sarà sicuramente interessante. O almeno questa è la speranza. 

Ci presentiamo, iniziamo a parlare e come sempre accade quando si ha un’idea, una “scaletta” di argomenti da trattare, la curiosità del momento ha spostato tutte le attenzioni sulla bustina blu di stoffa contenente gli assorbenti lavabili di Laboratorio sostenibile

Così Camilla ha iniziato a spiegare come sono fatti, quando e come vanno lavati, quanto possono durare, diciamo tutte quelle informazioni di cui abbiamo scritto qualche articolo fa: “Le mutande assorbenti e il carcere”.

Diventa subito facile parlare di qualcosa che va oltre i confini delle nazionalità, delle appartenenze culturali, dei differenti gruppi sociali, quando si condivide nell’immediatezza dei corpi la ciclicità fisiologica del sanguinare. 

 

Assorbire il cambiamento – gli assorbenti lavabili in carcere è una soluzione possibile?

Nonostante l’entusiamo ricevuto per gli assorbenti lavabili – se non da tutte almeno da 4 persone su 5 – alla domanda “In carcere può funzionare secondo voi?”, la risposta è arrivata all’unisono: no! Si è ragionato come anche negli altri incontri, sulla questione economico-logistica, per cui sarebbe certo una soluzione a lungo termine del problema quella di avere a disposizione sempre i propri assorbenti lavabili (che durano in media 5 anni!). Cosa non può funzionare? Il lavaggio e l’asciugatura.  

«Non si asciuga manco ‘na maglia, figurate questo che è doppio» ha detto S

«10 anni fa si potevano mette fuori i panni adesso no» ha continuato G

Mentre spiegavo meglio il progetto di Assorbire il cambiamento sono stata interrotta al “la maggior parte degli assorbenti li portiamo in carcere…”.

«E fate bene, veramente, perché ce n’è bisogno in carcere» ha affermato E, mentre le altre annuivano e confermavano quel che cerchiamo di far emergere da mesi. 

Perché secondo le loro esperienze, in linea con le altre già raccolte di Maria, Rosaria e Sonia, gli assorbenti in carcere non arrivano sempre e quando arrivano sono pochi. Pensiamo di vivere il nostro ciclo con un pacco al mese, con tre rotoli di cartigienica e senza bidet! E ci ha raccontato che quando è entrata aveva le mestruazioni, non aveva assorbenti con sé e ha dovuto arrangiarsi

«Ho preso il lenzuolo e l’ho strappato poi ho fatto così e via» – mimando il posizionamento del lenzuolo tra le gambe. Ti tieni gli assorbenti fino a quando reggono, anche l’estate quando il materiale, con il sudore e il sangue in eccesso irrita la pelle. Devi farlo per usarne il meno possibile. Certo che se ti finiscono puoi sempre chiedere a chi ne ha di più, l’altra sa che la prossima volta avrà un assorbente da te; alcune magari li vendono ma «Devi essere proprio str**za per vendere l’assorbente a un’altra mamma» ha concluso E

Sul bidet la questione è sempre la stessa, diverse le carceri, diverse le sezioni, diverse le disponibilità. Quindi in alcune è presente, in altre no. 

D ha spiegato: «Nel carcere di *** alla sezione con i figli, dove c’è l’asilo tutto, c’è il bagno in camera e hai tutto, nell’altra ci sono le docce tutte insieme».

G ha poi commentato ridendo «Tanto la metà non si lava quindi non è un problema».

Esperienze ristrette: il ciclo in carcere

Un ricordo recente, quello di Rosaria, una signora di 52 anni ospite all’interno di una struttura di accoglienza romana per persone detenute in misura penale esterna o ex detenute. Abbiamo incontrato Rosaria quasi un mese fa e ha partecipato volentieri al progetto Assorbire il cambiamento che – come ormai saprete – prevede oltre alla donazione di assorbenti per il carcere e le persone detenute nelle strutture di accoglienza, questa raccolta di preziose testimonianze che ci rendono possibile andare oltre le alte mura degli istituti penitenziari e ascoltare, o in questo caso leggere, come vivono il ciclo mestruale le persone ristrette.

 

Qualche tempo fa sui nostri canali social già abbiamo letto una piccola parte dell’intervista fatta a Rosaria

«Chi prende terapia gli scende proprio che è ‘na bellezza eh, per gli anticoagulanti. Dicevano “mamma mia c’ho tutto sto ciclo”, queste se spaventavano… Perché non sapevano, erano ignare. Poi se fai uso di dr0g4, ehhh! Se fai quello ti si riduce, e tante lo fanno pure per questo, perché non sopportano … e invece quando vengono monitorate con la terapia, tutto ‘sto sangue … Tante dovevano cambiare spesso le lenzuola perché avevano ‘sto problema. E quindi c’è chi soffre di più e chi di meno.»

E ancora, riguardo ai farmaci:

«Io per esempio sono stata una che quando sono entrata (47 anni nel 2019) avevo il flusso abbondante, ce l’ho sempre avuto abbondante e prendevo una medicina a base di penicillina. Un antinfiammatorio buono per le ossa, per il mal di schiena e pure perché riduce il flusso mestruale. […] Poi me s’è regolarizzato molto con la maternità e non l’ho preso più. Lì me davano… quello che avevano. Brufen, Oki, Buscofen … E io me prendevo quello che potevo insomma, quello che tolleravo insomma perché l’oki non lo tollero, me se mette sullo stomaco. Poi una volta, non riuscendo con questi […] mi diedero l’Ugurol che è un riduttore, so goccette che te danno. ‘Na volta, due, tre e quello me disse, l’infermiere che stava là, “ma che stai andà in menopausa?”. “No io so proprio così” – gli ho fatto – “C’ho la mia medicina che mi dovrei far prescrivere”. Dice “Ok” e quindi me diede sta cosa qua.»

Oggi riporteremo il più fedelmente possibile, il suo racconto riguardo:

  1. Il ruolo da spesina in carcere – la farmacia;
  2. “La gioia nel cuore” delle persone detenute per le donazioni ricevute;
  3. Richiedere le visite specialistiche in condizioni ristrette.
ROSARIA 

Il ruolo da spesina in carcere – la farmacia

Allora, io vi posso assicurare – dato che ho fatto la spesina per tre anni all’interno della sezione *** – davano 1 pacchetto o al massimo 2 pacchetti di assorbenti a detenuta, quando avevano la possibilità, altrimenti si compravano. Venivano da me e li acquistavano.

A. «Quindi al sopravvitto?»

Sì, tante richiedevano gli assorbenti perché stavano più comode, rispetto a quelli che passavano. Poi, da me prendevano quelli interni, i tampax, ci stavano i regular e quelli più abbondanti. 

A. «E a livello di costi?»

Eh, dei costi… dovrei pure avere la lista da parte. Comunque… costicchiavano. Stavano dai 3 euro in su, alcuni pure molto di più. Mo’ non vorrei esagera’, non me ricordo esattamente l’importo, però quello era. E quindi apprezzavano quando glieli donavano, tante volte andavano a chiedere pure alle suore, chiedevano alle associazioni… è normale. Perché poi c’erano quelle che stavano col flusso abbondante, chiaramente.

Quando c’era la farmacia, alla prima e alla terza settimana del mese – ancora me ricordo – si facevano le domandine per i farmaci – su richiesta poi della dottoressa o del dottore che ti doveva mettere in visita a seconda del giorno del piano in cui stavi. Ti facevano la prescrizione, la visita, quello che è. Però insomma si dovevano imporre, ad esempio se volevano una specifica medicina, dicevano:“No, perché io lo so che questo qua lo usavo già da fuori, me va bene e voglio questo qua non voglio cambia’”. Allora arrivava questa medicina. Le pagavano a loro spese.

Se invece dovevano farsi portare le medicine dai parenti, da fuori, dovevano fare ulteriori richieste per farle entra’ e tutto quanto. 

Ne facevo tante. Molte chiedevano le vitamine, chiedevano il multicentrum e soprattutto le ragazze nere se sentivano scoperte, non coperte, poco tutelate.

Tutte, tutte se lamentano, chi pe’ na cosa, chi pe’ n’altra.

“La gioia nel cuore” delle persone detenute per le donazioni ricevute

Vi dirò di più: quando venivano co’ i carrelli perché le associazioni, come Sant’Egidio, mandavano che ne so, du pacchetti di caffè coi biscotti… I biscotti di quelli che dentro non ce stanno, tipo batticuore, pandistelle… C’era una felicità immensa che sembrava chissà che cosa avevano ricevuto. C’era una gioia veramente nel cuore. 

Te portavano tante cose, anche i reggiseni magari di un colore differente a quello che avresti voluto ma il modello quello è. Le pantofole, io ancora ho quelle di S.E., è ‘na gioia immensa… Partiva lo scambio, “A te de che colore te l’hanno dato?”. Addirittura tanti fanno i pacchi, li mandano in uscita per i propri parenti, per i nipoti, per i figli. Hanno portato, mi ricordo, le magliette della Lazio, della Roma, le tute quelle svasate fatte a campana, i pigiami… Tutte contente, tutte entusiaste, quindi sposano bene l’idea. Non se sentono abbandonate, dicono “Ah menomale c’è qualcuno che ce pensa.” E quindi sono contente di questo.

A. «Certo, e le donazioni di assorbenti invece, sono mai arrivate?»

Sì. Vengono, vengono. Fanno delle consegne a parte magari, quando l’assistente lo richiede, perché a volte è successo che mettono dentro anche spazzolini, dentifricio, i prodotti igienici diciamo. Li mettono dentro una saletta e poi quando decidono li consegnano.

Volevo di’, del fatto degli assorbenti, in genere li consegnavano col cambio delle lenzuola, il martedì se faceva il cambio delle lenzuola ‘na volta a settimana. Poi vabbé saltava qualche volta, ad esempio per il fatto del Covid oppure quando c’è stata la scabbia. Però, se c’eraportavano nel carrello la fornitura, la cosiddetta fornitura cioè:

  • Quattro rotoli di cartaigienica per uno;
  • Due pacchetti di assorbenti; 
  • Una saponetta.

E ste cose qua.

Vi dico che prima che uscissi dalla sezione a settembre, gli assorbenti, i vestiti, i prodotti di igiene in generale venivano consegnati solo alle nuove giunte, alle altre no. E se sapevano, a maggior ragione che eri lavorante, ti obiettavano la cosa perché dicevano che non potevi prendere una cosa che toglievi ad altre che non lavorano e che non potevano permettersi di comprarla. Quindi i materiali rimangono là anche per un nuovo arresto, una nuova giunta. La formula era questa e s’è mantenuta diciamo fino a poco fa, poi mo’ non lo so. Da settembre non so se hanno cambiato qualcosa. Perché poi ho notato pure che cambia direzione, cambiano consegne, cambiano regole, cambiano tante cose… ma qui entriamo in un altro discorso.

Richiedere le visite specialistiche in condizioni ristrette

Ho fatto caso che chi fuma, gli si ostruisce diciamo le vene perché l’ossigeno non passa… cioè il sangue non si coagula nella maniera corretta e risente molto di più dei dolori mestruali.  Oltretutto, incide anche la quantità di acqua che bevi acqua, il fatto che te mangi gli insaccati, il fatto che te mangi i latticini… Io lo dico sempre a ste ragazzette di non mangia’ sta roba, per un mese e di fare la prova. Perché ti devi conoscere, devi imparare a capire cosa ti fa bene, cosa ti fa male e poi te incanali… E te dai un equilibrio, na cosa. 

A. Trovi il giusto rapporto col tuo corpo?

Brava! E allora poi dopo non te stai a lamentà che vai dal dottore “Ah, c’ho quello, c’ho questo, non so che ho fatto…” Anche perché, la ginecologa lì veniva di rado, veniva… a volte vengono. All’inizio venivano chiamate dopo tre mesi, tante se lamentavano. Ultimamente venivano più spesso. Chiamavano spesso il dermatologo che non c’era sempre. Si chiedeva del dentista, di un odontotecnico… sono queste le visite specialistiche più richieste. Poi tra l’altro quando io sono entrata nel 2019 ci fu la campagna per la sensibilizzazione del cancro seno, per le varie cose dei denti… Ci hanno portato alla parte del carcere adibita e ci hanno fatto le visite. Però non passano spesso. Anzi, la detenuta chiede e cerca, però sono gli assistenti, tra virgolette i capi insomma, i sovraintendenti, gli ispettori… che il più delle volte te dicono “Eh devi aspettà, mettite in lista.” Un po’ così…

Le mutande assorbenti e il carcere

Le mutande assorbenti sono un’alternativa ecologica ai classici assorbenti usa e getta, tra i vari  vantaggi che comporta l’utilizzo degli slip o degli assorbenti lavabili vi è sicuramente quello economico, ma non solo. Nello spirito dell’iniziativa “Assorbire il cambiamento” inserita nel progetto POSTER coordinato da Aidos, abbiamo chiesto a Camilla, fondatrice e coordinatrice dell’Associazione Laboratorio sostenibile di parlarci più nel dettaglio di questi prodotti igienico-sanitari ecosostenibili

CAMILLA

Come funzionano le mutande assorbenti?

Assorbenti lavabili e mutande mestruali sono il corrispettivo riutilizzabile e quindi più sostenibile dei comuni dispositivi mestruali usa e getta.

Gli assorbenti lavabili sono creati con materiali drenanti, assorbenti e impermeabili che hanno lo scopo di assorbire e trattenere il sangue. Il loro caratteristico bottoncino fa sì che restino ancorati allo slip. Le mutande mestruali hanno questi stessi materiali già cuciti al loro interno e non hanno quindi bisogno di ulteriori accessori per svolgere la loro funzione.

Entrambi i prodotti, se creati con materiali di qualità, possono portare notevoli benefici in termini di salute intima nonché un notevole risparmio economico sul lungo periodo e un impatto positivo a livello ambientale

Quanto durano le mutande assorbenti?

In termini di durata giornaliera entrambi i dispositivi hanno una capacità assorbente maggiore di quella degli usa e getta e possono essere indossati fino a un massimo di 8 ore.

In termini di durata negli anni parliamo di una media di 5 anni.

La loro durata nel tempo può dipendere da fattori prettamente legati al prodotto (la qualità dei materiali, ad esempio) così come da fattori esterni (corretto lavaggio e rotazione, conservazione lontano da ambienti umidi che potrebbero favorire la comparsa di muffe).

Quante mutande assorbenti al giorno?

La quantità di assorbenti e mutande mestruali di cui si necessita varia in relazione al proprio flusso e alle modalità di lavaggio prescelte

Se è vero infatti che ognuno dei due dispositivi può essere indossato fino a un massimo di 8 ore – e quindi si avrà necessità di almeno 3 pezzi per coprire l’intera giornata – è altrettanto vero che se questi verranno lavati immediatamente dopo l’uso saranno pronti per essere utilizzati nuovamente nel giro di 24 ore. Se al contrario si aspetterà la fine delle mestruazioni per lavarli tutti insieme, si avrà bisogno di almeno 10/15 pezzi per coprire con serenità tutti i giorni di mestruazioni.

Come si lavano le mutande assorbenti?

Questa è la preoccupazione principale di chi si approccia per la prima volta al mondo delle mestruazioni sostenibili. Ma il lavaggio è solo una questione di pratica e abitudine.

I punti fondamentali sono pochi e ben precisi: assorbenti e mutande mestruali hanno bisogno di un risciacquo in acqua fredda dopo l’uso per far sì che il sangue non si fissi ai tessuti. Dopo questo passaggio fondamentale, entrambi i dispositivi possono essere lavati sia a mano che in lavatrice a una temperatura massima di 40°.

Esistono poi delle soluzioni efficaci per rimuovere macchie e aloni più ostinati. Parliamo del percarbonato e dell’acqua ossigenata che se utilizzati prima del lavaggio finale e uniti all’asciugatura al sole fanno tornare assorbenti e slip mestruali igienizzati e puliti come nuovi.

ALESSIA

Perplessità sull’utilizzo delle mutande assorbenti in carcere 

Ci siamo chiest3, in carcere può funzionare? 

Durante l’organizzazione della Campagna di raccolta assorbenti per il carcere e le strutture di accoglienza per persone detenute di quest’anno, abbiamo pensato di introdurre questi dispositivi ecosostenibili. I nostri dubbi sull’uso delle mutande assorbenti o gli assorbenti lavabili negli spazi ristretti di una cella, magari pure affollata, sono relativi alle condizioni igieniche per cui si deve lavare lo slip nello stesso lavandino in cui si lavano le stoviglie; per i fastidi che può portare nelle condizioni di una convivenza forzata tra persone diverse che magari non condividono le stesse abitudini e le stesse concezioni riguardo alle mestruazioni in generale; o ancora per i tempi di asciugatura

Abbiamo chiesto per questo a Maria e Sonia, due persone che hanno vissuto l’ambiente del carcere in modi, tempi e situazioni differenti. 

Introdurre negli istituti penitenziari l’uso delle mutande assorbenti 

MARIA

In carcere tutte le cose, anche le mutande normali si lavano nello stesso posto in cui si lavano le stoviglie. Io posso dire una cosa secondo la mia esperienza. Purtroppo in cella con altre persone ci sono stata poche volte, solo quando mi trasferivano a *** alla massima sicurezza dove c’erano cella da tre letti. Quindi ci sono stata qualche volta, però lì c’era (per fortuna) nel cortile dell’area uno spazio per gli stendini. Quindi là ti potevi stendere tutto quello che volevi, senza dare fastidio a nessuno.

Invece, per esempio nella mia esperienza della cella singola che è stata per tutto il tempo della carcerazione cella singola… Ehh! Lì l’abitudine è che ti lavi le mutande quando te le levi la mattina e le stendi in un filo che hai messo dentro la cella con gli appendini quelli di plastica, ci metti un filetto, qualcosa insomma (se te lo fanno tene’) e le tue cose più private le stendi là. Mentre che ne so se lavi i maglioni, le camicie, i pantaloni, li stenti agli stendini fuori. Che poi lì gli stendini stavano dentro al corridoio quindi neanche c’era tutta quest’aria… Non era tanto comodo perché non si asciugava tanto bene la roba. Perché i giorni che era umido poi dopo non era profumata, se marciva mentre se asciugava, capito?

In genere comunque, nella comunità dato che si è fra donne sta cosa che faccia schifo una mutanda… Considera il lavandino è sempre uno solo, a *** nelle celle da tre persone ci stavano tipo acquasantiere dove già lavarci i piatti era molto complicato. Però è la legge del carcere, no? Tu lavi i piatti nello stesso posto dove vai al bagno, quindi la questione è quanto tieni pulito il lavandino. Nel senso, c’hai lavato le mutande, ce passi il VIM e poi ce poi lavà pure il bicchiere tanto a quel punto è disinfettato. Poi le puoi lavare anche dentro al bidet se ce l’hai, può essere un’alternativa…

Intervista a SONIA

Secondo l ‘esperienza di Sonia invece, non c’era molta solidarietà femminile, chiamiamola così. Infatti, chi aveva bisogno di un assorbente in genere si trovava a doverlo barattare con qualcos’altro come ad esempio le sigarette, o addirittura comprarlo da altre compagne. 

Alla domanda “c’era il bidet dov’eri tu?” mi ha risposto ridendo, affermando “che lusso!”.

Per lei le mutande assorbenti in carcere sarebbero super apprezzate.

Conclusioni

Tu cosa ne pensi? Hai mai provato dispositivi igienico-sanitari riutilizzabili come gli slip mestruali o gli assorbenti lavabili? Ti invitiamo a cercare le soluzioni più adatte a te sullo shop di Laboratorio sostenibile, una realtà con la quale ci siamo trovat3 subito in sintonia per l’attenzione, la cura e la partecipazione empatica alle nostre tematiche. 

In occasione della Campagna di raccolta assorbenti del PID Onlus, Laboratorio sostenibile donerà alle persone detenute assorbenti lavabili per tentare di dare supporto a chi nonostante non scelga di avere le mestruazioni, continua a sanguinare anche da dietro le sbarre. 

Vuoi contribuire anche tu? Ti ricordiamo che i materiali donati possono essere consegnati presso i seguenti punti di raccolta nei giorni e negli orari indicati:

  • Casa delle donne Lucha Y Siesta: Via Lucio Sesto, 10 – Mercoledì dalle 11:00 alle 13:00, dalle 16:00 alle 17:00 e Giovedì dalle 12:00 alle 13:30.
  • Associazione Libellula: Viale Giustiniano Imperatore 280/A – Lunedì dalle 15:30 alle 18:30.
  • L’Archivio 14: Via Lariana, 14 – Mercoledì e Venerdì dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 17:00 alle 19:00, Giovedì dalle 17:00 alle 19:00.

Se non si ha la possibilità di recarsi in uno dei precedenti punti di raccolta, i materiali possono essere spediti alla Sede legale della Cooperativa PID Onlus, all’indirizzo: Via Eugenio Torelli Viollier, 109 – 00157 Roma

 

Continua a seguire gli aggiornamenti sui nostri canali social per saperne di più sulle questioni relative le mestruazioni in carcere, i tabù del ciclo e la raccolta di assorbenti per le persone detenute.

L’Italia che resiste, la notte dei miracoli.

All’Italia, una riflessione per il 25 aprile. A un’Italia che resiste.

LE PAROLE DI L

Questa non è “la notte dei miracoli” di Lucio Dalla. No, è la “notte dei diritti”.

Si manganellano studenti inermi nelle piazze, si cerca di svuotare nei contenuti il reato di tortura, si tagliano i fondi a scuole e sanità, poco ci manca, ma se sei in visita in un ospedale quasi ti cacciano via se non hai i soldi o una carta di credito “american express”, per pagarti le cure (più  o meno come avviene negli Stati Uniti). E poi, tenetevi forte, sono considerati più pericolosi i rave party che non i reati di corruzione. Si inventano nuove norme per rendere la Magistratura subalterna al potere politico con buona pace della separazione dei poteri.  Si vuole colpire con leggi pretestuose la libertà di stampa per ridurre così i giornalisti a semplici “marchette”. Nel mondo del lavoro se  sei un operaio edile sottopagato “in nero” e  non muori (perché hai cvl0) mentre svolgi la tua attività lavorativa, rimarrai comunque precario quasi per tutta la vita. Questo perché il lavoro è considerato merce. E ancora, si attaccano i diritti delle donne a cominciare da quello  sull’aborto mentre in Francia l’interruzione di gravidanza è previsto in Costituzione.  

Fosse ardeatine, visita 25/04/2024

L’Italia e la condanna del ventennio fascista

Negli ultimi anni ha prevalso la rimozione storica della  tragica esperienza del FASCISMO. Storicizzare il “ventennio” sarebbe un errore perché il fascismo le sue scorie sono come un virus che cambia continuamente sia pure con posture, “faccine”  ammiccamenti ruffiani e modalità diverse rispetto a quel periodo. Ce ne accorgiamo tutti i giorni.Sui diritti sociali, la libertà di pensiero e di opinione delle persone sembra ormai abbattersi un “vento gelido” ovunque nel mondo: con Trump negli Stati Uniti, Milei in Argentina, Orban in Ungheria, Erdogan in Turchia e con Putin in Russia per il  quale le destre estreme di mezzo mondo subiscono una perversa fascinazione.

Fosse ardeatine, visita 25/04/2024

Nel nostro Paese brandendo la fiamma tricolore della repubblica sociale, dei tempi del duce  vogliono  promuovere una riforma costituzionale “per un governo del popolo” che nei fatti rischia di diventare  un’arma impropria nelle mani di una “capa” (meglio un “capo”perché pare non gradisca la declinazione al femminile). Nessuno degli appartenenti a questa classe dirigente ha proferito una sillaba di condanna del fascismo. Abbiamo visto soltanto odiosi “siparietti” istituzionali con discorsi pronunciati con un rivolo di bava alla bocca. Per dirla con Crozza, per loro la “Resistenza” è semplicemente il “filamento della lampadina”… Le  superc4zz0le poi sul pericolo a loro dire della “sostituzione etnica” (temi tanto cari a Mussolini e Hitler) sono peggio di una manganellata.

Fosse ardeatine, visita 25/04/2024

Oggi, 25 APRILE, in moltissime piazze del Paese studenti lavoratori, lavoratrici, precari disoccupati, immigrati privi di qualsiasi diritto, senzatetto, persone detenute, quasi tutti senza prospettive concrete di lavoro… Gli ultimi e le ultime insomma, hanno detto con un gesto iconico a questo governo:“Tiè!”   Le sezioni dei partiti sono quasi tutte chiuse o non esistono più,  ma le piazze, i teatri e i concerti sono stracolmi di gente. Si riparte da qui,  proprio dalle PIAZZE. Con le armi della cultura, dell’arte e della comunicazione, perché tutto è politica.

 

È L’ ITALIA DERUBATA E COLPITA AL CUORE, PRESA A TRADIMENTO. L’ITALIA CHE SI DISPERA, L’ITALIA CHE SI INNAMORA. L’ITALIA CHE RESISTE!

Era il 1979, F. De Gregori, “W L’Italia”. Sembra ieri..                                                                                  

M49 , l’Orso 

Fosse ardeatine, visita 25/04/2024

“Quanto ne sai del ciclo mestruale?” – Le risposte degli uomini cis

“Quanto ne sai del ciclo mestruale?” è il piccolo questionario che  nasce dalla curiosità di sapere quanto conoscono gli uomini cis dell’esprienza delle mestruazioni.

Disclaimer necessario: Per questioni tecniche, abbiamo scelto una quantità minima di soggetti che ci rendiamo conto che non può  rappresentare un campione significativo. La nostra breve analisi dei dati per tanto non vuole produrre generalizzazioni di alcun tipo ma solamente riportare le risposte ottenute.

La scorsa settimana abbiamo riportato sui nostri canali Facebook e Instagram un carosello riassuntivo di alcune delle risposte ricevute. Come promesso, oggi approfondiremo qui i riscontri ottenuti dalle domande aperte:

  1. Secondo te cosa si può fare e non fare durante le mestruazioni?
  2. Quanto pensi influisca il ciclo sulla vita delle persone con utero?
  3. Se dovessi essere padre come spiegheresti a tua figlia il ciclo mestruale?

Secondo te cosa si può fare e non fare durante le mestruazioni?

Alcuni esempi

Tutto o quasi:

  • Non si può fare pipì in mare, si può fare tutto.
  • In teoria si può fare tutto.

Dipende è soggettivo:

  • Credo sia un fenomeno davvero soggettivo, conosco persone che con il ciclo non escono di casa e altre che comunque vanno ad allenarsi in piscina, dunque non saprei, non so se c’è qualche pratica che è proprio non sicura da svolgere durante il periodo delle mestruazioni.
  • Sicuramente non si può donare il sangue durante le mestruazioni in quanto ci sono già ingenti perdite di sangue. Bisogna stare attente alle variazioni drastiche di temperature, quindi fare attenzione se si va al mare per esempio o entrare in sauna. Tendenzialmente credo che le attività normali giornaliere possono essere svolte nella loro totalità.

Risposte che prevedono avere rapporti sessuali e la gravidanza:

  • Non si può (o comunque è consigliabile) non fare sport, o attività estremamente impegnative dal punto di vista fisico. Si può ovviamente fare sesso.
  • (Non si può) Rimanere incinta. Poi, da quanto dicono le pubblicità, con i tamponi ed assorbenti moderni si può fare di tutto senza rischio di perdite.
  • Si può fare tutto con le giuste accortezze e dolori permettendo. L’unica cosa che è quasi impossibile è rimanere incinta anche se c’è una piccola probabilità.
  • Sì al sesso. No, salvare una città.

Fare il bagno:

  • Sicuramente non il bagno.

Facciamo chiarezza

“Non si può donare il sangue durante le mestruazioni”.

Tra i tanti falsi miti sul ciclo mestruale, c’è quello relativo alla donazione del sangue. Dal sito dell’AVIS leggiamo infatti che «Non è formalmente prevista una sospensione dalla donazione di sangue intero durante la fase mestruale».

Tuttavia, non è sempre possibile donare il sangue durante le mestruazioni. Dipende dalle condizioni delle singole persone, non sono tanto le perdite consistenti ad essere un ostacolo, quanto i parametri ematologici e lo stato di salute del soggetto donatore. Per cui è consigliabile valutare la possibilità di donazione caso per caso.

“Non si può rimanere incinta”

Attenzione! Questo è un falso mito sul ciclo mestruale possibilmente pericoloso. Non possiamo dire che è impossibile rimanere incinta durante le mestruazioni, anche se la probabilità è comunque molto bassa. Da ISSalute riportiamo: «Gli spermatozoi possono infatti sopravvivere nelle vie genitali femminili fino ad 1 settimana dopo il rapporto, mantenendo per tutto questo tempo la capacità di fecondare l’ovulo al momento dell’ovulazione».

Quanto pensi influisca il ciclo sulla vita delle persone con utero?

Alcuni esempi

Abbastanza/Mediamente:

  • Penso che, dalle esperienze che mi sono state raccontate, i dolori, il dover stare attenti alle perdite e al cambiare gli assorbenti abbia un’influenza abbastanza importante sulla vita di chi ha un utero.
  • Penso influisca abbastanza. Già il cambiamento ormonale penso che influenzi a livello emotivo e mentale.

Poco:

  • Ma persone con utero intendete le donne? Fa un po’ ridere chiamarle “persone con utero” a meno che non si possa impiantare un utero su individui di sesso maschile. Ad ogni modo a livello fisico non credo influisca.
  • Sicuramente non è piacevole, ma per me influisce poco.

Dipende, è soggettivo:

  • Dipende dalla condizione sociale.
  • Dipende da come la vivono. Per qualcuna può essere solo un doversi prendere cura della propria igiene ecc. Per altre che magari la vivono come un tabù o qualcosa di cui vergognarsi potrebbe essere davvero complesso da gestire.
  • Lo usano per saltare educazione fisica.

Molto:

  • Influisce tanto quanto influisce la rasatura nelle persone con barba: è una rottura!
  • Beh è una bella rottura di scatole, condiziona molto nel quotidiano.

Facciamo chiarezza e riflettiamo

Sicuramente il ciclo ha una valenza importante durante la vita di una persona con utero, il grado d’intensità è però soggettivo. I fattori da considerare sono certo molteplici. Non so quanto sia possibile paragonarlo alla rasatura della barba, che pur essendo un’attività che insorge forse quantitativamente più volte nella vita di un individuo, non comporta i dolori dei crampi mestruali, i disagi degli sbalzi ormonali e le difficoltà personali legati a sedimentati tabù culturali che portano tante persone ancora oggi a non parlare del ciclo, o magari a parlarne poco, o ancora a nascondere gli assorbenti come fossero merci proibite (soprattutto in presenza di soggettività maschili).

Per quanto riguarda la riflessione sulle “condizioni sociali” di una persona con utero che si trova ad affrontare ogni mese all’insorgere delle mestruazioni, non possiamo ignorare il peso economico che una necessità fisiologica comporta. Da gennaio 2024 in Italia abbiamo visto raddoppiare l’IVA su prodotti igienici come assorbenti e pannolini. Il passaggio dal 5% al 10% rappresenta un carico significativo: «ogni anno una donna in età fertile spende in media in Italia tra i 130 e i 150 euro per gli assorbenti. Con il nuovo aumento dell’Iva, l’imposta peserà in media per 15 euro all’anno, ovvero circa 7,5 euro in più rispetto allo scorso anno, quando era al 5%». (Fonte: Quotidiano nazionale, Economia)

Riguardo alla domanda “Ma persone con utero intendete le donne?” Rispondiamo che è importante parlare di persone con utero e non di donne perché anche gli uomini trans e le persone non binarie hanno il ciclo mestruale e non tutte le donne lo hanno. L’accesso alle informazioni e ai mezzi necessari per l’igiene mestruale deve essere un diritto di tutte le persone.

Se dovessi essere padre come spiegheresti a tua figlia il ciclo mestruale?

Alcuni esempi

Non lo so/Risposte non pervenute:

  • Non sarò mai padre.
  • Credo che improvviserei, la verità è che non lo so

Con tranquillità, è una funzione fisiologica naturale:

  • Che è una cosa normale, e fa parte del ciclo naturale della vita. Per poi prenderla in giro poiché in quanto uomo il massimo di scocciatura che avrò e radermi ogni mattina.
  • Ti uscirà il sangue.
  • Penso di essere il più sincero possibile su ciò che è e sulla funzione che ha, ricordando però che essendo un uomo non posso comprendere al 100% che tipo di esperienza sia e cosa comporta.

Chiedi alla mamma/un’altra donna:

  • Lo spiegherei insieme a mia moglie, intervenendo nella discussione solo quando mia figlia me lo richiederebbe.
  • È normale, fa parte della crescita, vuoi saperne di più dici? Aspetta, caraaaaaa!
  • Preferirei che a spiegarglielo fosse un’altra donna.
  • Succederà quello che succede a tua madre.

*usiamo qui donna e non persona con utero in riferimento alle risposte date.

Spiegoni scientifici/Video/Documentazione/Ginecolog3:

  • Mi documenterei e lo farei con dolcezza e senza considerarlo un tabù.
  • La porterei da una ginecologa.
  • In modo tecnico probabilmente dicendole che se i suoi ovuli non vengono fecondati al termine di ogni ovulazione il suo corpo si libererà del materiale in eccesso. E le direi che è perfettamente normale avere piccoli dolori o mal di testa o sentirsi stanchi.
  • Con dei video.

Riflettiamo

Riguardo ai risultati emersi su quest’ultima domanda dobbiamo dire che ci aspettavamo inizialmente un numero maggiore di risposte che prevedono di scaricare un po’ o del tutto la “responsabilità genitoriale” di informare dell’imminente e inevitabile arrivo delle mestruazioni nella sua vita alla figura materna o altre figure femminili. Abbiamo notato invece che le risposte in questo senso sono state relativamente poche (10 su 50), o comunque inferiori al numero prefigurato.

Piacevole sorpresa è stata inoltre leggere le risposte che fanno emergere la volontà di informarsi in modo consapevole e di illustrare “dolcemente” cosa comporta il ciclo mestruale per le persone con utero a eventuali giovan3 figl3, accompagnando magari la propria spiegazione a quella di specialist3 del settore o di video istruttivi.

Siamo complessivamente soddisfatt3 per le risposte ricevute, per la partecipazione riscontrata e le riflessioni mosse intorno all’argomento del ciclo mestruale. Anche questa attività concorre agli obiettivi prefissati dal progetto “Assorbire il cambiamento” che prevede:

  • La campagna di raccolta assorbenti per il carcere, iniziata due anni fa, con la collaborazione di altre realtà del terzo settore romano, quest’anno prende il via sotto nuove vesti grazie al progetto “Assorbire il cambiamento”, a sua volta parte del più ampio progetto “POSTER. Pratiche oltre gli stereotipi”.
  • Laboratori e incontri all’interno di Istituti femminili per promuovere maggiore consapevolezza sulle tematiche riguardanti il ciclo mestruale e la conoscenza dei “nuovi” prodotti igienico sanitari più ecologici quali coppetta, slip e mutande assorbenti.

L’obiettivo è quello di portare un beneficio concreto alle persone recluse grazie alla donazione di materiali sanitari, di accendere l’attenzione della società, delle istituzioni e della cittadinanza sulla condizione delle donne recluse, nonché di raggiungere un cambiamento sistemico della questione affrontata.

Assorbenti per le persone detenute – sensibilizzazione e raccolta

Assorbire il cambiamento – Vivere il ciclo in carcere  

  • CAMPAGNA DI SENSIBILIZZAZIONE E INFORMAZIONE SULLE QUESTIONI RELATIVE LE MESTRUAZIONI IN CONDIZIONI RISTRETTE
  • RACCOLTA E DONAZIONE DI SLIP MESTRUALI E ASSORBENTI PER LE PERSONE DETENUTE

Nella Giornata Internazionale della Donna vogliamo condividere e rendere ufficialmente pubblico il progetto che stiamo tessendo da mesi: “Assorbire il cambiamento”. Sono importanti le ricorrenze, sì ma non ci bastano.

Nel 2024 continua a versarsi un mare di discriminazioni, abusi e violenze sui corpi e le vite delle donne. Le lotte per i diritti, per i mutamenti necessari delle pratiche e politiche egualitarie delle identità di genere tutte si scontrano con una realtà nutrita da una cultura patriarcale, maschilista e paternalistica che ha costruito nei secoli profondi solchi nell’identificare gli individui secondo un netto binarismo e caratterizzarli seguendo principi che inneggiando alla “verità naturale e biologica”  hanno finito per determinare gli squilibri di potere che ancora oggi segnano i rapporti tra gli esseri delle comunità umane internazionali. 

L’otto marzo è tutti i giorni, come il venticinque novembre, come ancora tutte le giornate nazionali e internazionali istituite per ricordare e promuovere i diritti umani. 

 

Cogliamo oggi l’opportunità per tornare a parlare di carcere al femminile. Ci siamo chiest3: come vivono il ciclo le persone recluse negli istituti penitenziari italiani?  Gli assorbenti per le persone detenute sono abbastanza? Come vengono consegnati? 

Il P.I.D. Pronto Intervento Disagio Onlus, in occasione della Giornata dell’Igiene mestruale del 28 maggio, organizza una Campagna di raccolta assorbenti per il carcere femminile  e per le persone in esecuzione penale esterna ospiti all’interno di strutture di accoglienza.

La campagna, iniziata due anni fa, con la collaborazione di altre realtà del terzo settore romano, quest’anno prende il via sotto nuove vesti grazie al progetto “Assorbire il cambiamento”, a sua volta parte del più ampio progetto “POSTER. Pratiche oltre gli stereotipi”. 

Tra le attività promosse, oltre alla donazione di assorbenti per le persone detenute, sono previsti laboratori e incontri all’interno di Istituti femminili per promuovere maggiore consapevolezza sulle tematiche riguardanti il ciclo mestruale e la conoscenza dei “nuovi” prodotti igienico sanitari più ecologici quali coppetta, slip e mutande assorbenti. 

Il progetto ha lo scopo di portare un beneficio concreto alle persone recluse grazie alla donazione di materiali sanitari, di accendere l’attenzione della società, delle istituzioni e della cittadinanza sulla condizione delle donne recluse, nonché di raggiungere un cambiamento sistemico della questione affrontata.

Le donne sono una piccola minoranza della popolazione detenuta, poco più del 4% (2.392 secondo i dati rilevati fino al 31 dicembre 2023) e si confrontano con tutte le problematiche legate al sistema penitenziario, alle quali si aggiungono specifiche questioni, accentuate dal fatto che la detenzione è pensata per un mondo al maschile che non prevede le diverse identità di genere

In carcere gli assorbenti, così come altri prodotti consentiti, possono essere acquistati attraverso il cosiddetto “sopravvitto”, una sorta di negozio interno all’Istituto Penitenziario al quale possono accedere solo coloro che hanno soldi sul conto corrente interno. Chi non ha possibilità economica e di conseguenza non può acquistare, deve adeguarsi alla fornitura dell’Amministrazione Penitenziaria che, se non trascura questo aspetto, non riesce a garantire la scelta di un modello, di una marca o le quantità necessarie di assorbenti in base alle singole esigenze.

 

La raccolta di assorbenti per le persone detenute comincia venerdì 8 marzo 2024 e si conclude giovedì 23 maggio 2024:

  • si possono donare assorbenti classici di qualsiasi marca e modello e gli slip assorbenti, mentre i tamponi in carcere non possono entrare. 

I materiali donati possono essere consegnati presso i seguenti punti di raccolta nei giorni e negli orari indicati:

  • Casa delle donne Lucha Y Siesta: Via Lucio Sesto, 10 – Mercoledì dalle 11:00 alle 13:00, dalle 16:00 alle 17:00 e Giovedì dalle 12:00 alle 13:30.
  • Associazione Libellula: Viale Giustiniano Imperatore 280/A – Lunedì dalle 15:30 alle 18:30.
  • L’Archivio 14: Via Lariana, 14 – Mercoledì e Venerdì dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 17:00 alle 19:00, Giovedì dalle 17:00 alle 19:00.

Se non si ha la possibilità di recarsi in uno dei precedenti punti di raccolta, i materiali possono essere spediti alla Sede legale della Cooperativa PID Onlus, all’indirizzo: Via Eugenio Torelli Viollier, 109 – 00157 Roma

 

Continua a seguire gli aggiornamenti sui nostri canali social per saperne di più sulle questioni relative le mestruazioni in carcere, i tabù del ciclo e la raccolta di assorbenti per le persone detenute.

Carcere e omofobia

Carcere e omofobia, maternità surrogata e tutte le ipocrisie (o solo alcune) del mondo contemporaneo. Le tematiche che attraversano ogni giorno le strade e le case del globo incontrano e travolgono la società nascosta, la parte che si dimentica, a cui non si pensa.
L, come un lucido osservatore delle realtà socio-culturali che attraversano la quotidianità, ci racconta un carcere non molto lontano dalle nostre città. Non molto distante dalle idee e dalle narrazioni in cui si impigliano quei tanti modi di essere umani tra umani. E così, anche oggi, L ci dice la sua mettendo nero su bianco le sue riflessioni e consegnandole allo spazio di condivisione del blog.

“E si farà l’amore ognuno come gli va”

Lucio Dalla

LE PAROLE DI L

Non ho altre parole e non voglio trovarne. So che attirerò gli strali di alcuni detenuti (non la maggioranza per fortuna) ma è giusto dover dire che una certa “fascinazione” per l’ uomo forte gerarchicamente posizionato è molto presente in carcere e quindi soltanto sollevare certe questioni, tra queste quella dell’omofobia, è come cercare di abbattere “muri mentali” assolutamente difficili da rimuovere. Parliamo di pregiudizi e stereotipi costruiti nel tempo, a cominciare dai disgustosi commenti sul “cromatismo della pelle”, ma di questo parleremo un’altra volta. Si fatica a capire fuori di qui e “qui dentro” che a dover prevalere è la libera scelta delle persone. È questo il vero discrimine etico. Invece con giudizi talora spregevoli finiamo per rinchiudere in cella non soltanto i nostri corpi, ma la nostra mente e le nostre parole. 

“Le parole sono importanti” direbbe Nanni Moretti, invece sono anch’esse prigioniere entro categorie. Non capiamo che ci sono coppie omogenitoriali che vivono con bambini felicissimi e ignoriamo l’esistenza molto diffusa delle cosiddette “famiglie atipiche” in cui le relazioni contano più dei ruoli tradizionali. A prevalere in questi casi è la genitorialità. Si può essere madri o padri anche con figli concepiti da altri perché i figli sono anche di chi li cresce e non sempre di chi li concepisce. Basta con certi precetti morali! Per screditare le famiglie omogenitoriali si usa anche in modo strumentale la questione della maternità surrogata,  enfatizzata e volgarizzata come “utero in affitto” omettendo di dire che nel novanta per cento dei casi questa pratica riguarda famiglie eterosessuali

 

Il mantra “Dio Patria e Famiglia” è in crisi. Le nuove generazioni lo sanno. A non capirlo sono i moralisti d’accatto che si ergono a difensori della famiglia tradizionale patriarcale e finiscono poi nella loro vita privata a vivere di tradimenti, di bugie e di ipocrisie quando va bene e, quando va male, si voltano dall’altra parte se tradimenti e bugie finiscono in tragedie in cui a pagare con la vita sono le donne.

Orso M49 

I 25 anni del PID Onlus

La Cooperativa PID Onlus – Pronto Intervento Disagio – lavora per l’inclusione sociale di persone svantaggiate – detenuti, ex detenuti, donne, minori, migranti e adulti in difficoltà – e per il recupero alla legalità di soggetti a rischio, attraverso progetti volti all’autonomia dell’individuo, alla tutela dei diritti, all’uguaglianza, alla legalità, all’integrazione e alla cittadinanza attiva.

 

In occasione del venticinquesimo anno della nostra storia – iniziata il 27 novembre del 1998 – abbiamo deciso di condividere insieme a voi la passione e l’amore che caratterizzano il nostro lavoro quotidiano. Vi invitiamo sabato 2 dicembre 2023 a un brunch durante il quale, attraverso una serie di tappe, potrete conoscere meglio i progetti più e meno recenti, sviluppati in carcere o nelle strutture di accoglienza per persone detenute che scontano parte della loro pena in misura alternativa. 

L’evento si terrà sabato 2 dicembre 2023 dalle ore 11:00 alle ore 17:00 a L’Archivio 14 – Via Lariana,14 RM. Riserva il tuo posto inviando una mail di conferma all’indirizzo pidonlus@gmail.com 

All’entrata vi sarà richiesto un contributo minimo di 15 € grazie al quale ci aiuterete a sostenere e promuovere le nostre iniziative, allo stesso tempo ci permetterete di condividere con voi un gustoso pasto a buffet, percorrendo le tappe del percorso che abbiamo pensato per voi.

Mostra e laboratorio di arteterapia

L’arteterapia è una forma di approccio alla persona che utilizza il canale non verbale mediato da diversi strumenti artistici, per raggiungere diversi obiettivi cognitivi, emotivi e sociali e per supportare lo sviluppo positivo degli individui.

ll progetto è stato pensato e costruito per  persone ristrette all’interno della 3° Casa Circondariale Roma Rebibbia da Monica Giaquinto, psicologa e arteterapeuta del team PID. 

Durante l’evento sarà possibile vedere le opere prodotte durante i laboratori e Monica organizzerà con voi un piccolo laboratorio per farvi avvicinare all’arteterapia; la partecipazione è volontaria e prenotabile all’entrata. 

L’angolo dei gadget

I nostri gadget nascono tutti da progetti interni ed esterni alle mura dei penitenziari in cui abbiamo lavorato, nascono dalle riflessioni e dalla creatività delle persone ristrette a cui il nostro costante impegno è rivolto. 

Sarà possibile acquistare i gadget per sostenere le attività della Cooperativa PID.

La creatività di un prigioniero

Mostra delle opere di un artista recluso. Come l’arte e la creatività riescono ad abbattere i muri.

Sarà possibile  ammirare ed acquistare le opere presenti.

Aiutare chi ha sbagliato non è peccato

Sostenere PID Onlus vuol dire contribuire allo sviluppo di attività, servizi e progetti a favore di persone in difficoltà nel cammino verso l’integrazione e l’inclusione.

Grazie al vostro impegno, ci permetterete di pianificare meglio le nostre azioni, garantendo maggior continuità ed efficacia ai nostri progetti. 

Nel caso in cui non riusciate a essere presenti all’evento ma volete donare un contributo alla Cooperativa, sul nostro sito (www.pidonlus.it) troverete tutte le informazioni necessarie per farlo.

QUI PER SCOPRIRE COME SOSTENERCI

Inoltre, sulle nostre pagine social di Facebook e Instagram potrete seguire i percorsi e le iniziative elaborate per le persone ristrette o che scontano la loro pena in misura alternativa, avendo accesso diretto alle loro riflessioni scritte sul blog “Passo dopo Passo” attivo da febbraio 2023. 

 

Dossier Statistico Immigrazione 2023

ALESSIA

Ieri mattina si è tenuta la presentazione della trentatreesima edizione del Dossier Statistico Immigrazione nel Nuovo Teatro Orione di Roma. Il Dossier Statistico Immigrazione 2023 è il frutto del lavoro meticoloso svolto da IDOS in collaborazione con la rivista Confronti e l’Istituto di Studi Politici Pio V volto a fotografare la situazione dei migranti in Italia. A coordinare i lavori sono stati Claudio Paravati, direttore del Centro Studi Confronti e Maria Paola Nanni, Centro Studi e Ricerche IDOS.

 

Come lo scorso anno, l’incontro delle parole di un’umanità che si stringe stretta attorno alla sua causa ha rilasciato nell’ambiente come un alone di fiducia, un senso quasi di speranza

Fiducia e speranza per un futuro diverso, per un mondo che ci sembra oggi quasi utopistico a causa del sempre maggior radicalizzarsi di una violenza generalizzata e strutturale che tende all’emarginazione e la reclusione dei migranti e di tutte le diversità non riconosciute o definite nelle categorizzazioni più volgari e simbolicamente veicolanti di insipidi pregiudizi. In un periodo storico in cui, come ha ben affermato Alessandra Trotta (moderatora della Tavola Valdese) “gli ideali più alti” sembrano essere stati calpestati e ormai irraggiungibili; il lavoro svolto da IDOS, Confronti e l’Istituto di Studi Politici Pio V è fondamentale in quanto oltre ai numeri e ai dati, o meglio, dietro ai numeri e ai dati, ci sono le persone reali. 

 

Un incontro denso sulla contemporaneità raccontata dal Dossier Statistico Immigrazione 2023 che ha visto il teatro riempirsi dell’unione di attivismo, esperienza, accademia e politica per ragionare su l’attenta fotografia dell’attuale tragicità che vivono i migranti in Italia. Un problema, quello che riguarda i migranti che riguarda noi tutti e tutte, come ha sostenuto Gianfranco Schiavone, socio Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) in riferimento alle recenti proposte concernenti la reclusione nei Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR): «Scivoliamo sempre di più verso misure potenti che sono la privazione della libertà per una condizione di una persona, non per la condotta!».

 

Quale società si configura? Si configura la società voluta dalla Costituzione?

 

Schiavone ricorda la Convenzione di Ginevra per cui non si possono applicare sanzioni penali a persone che entrano seppur “illegalmente” in un paese se per ragioni di sicurezza. Questo sembra un’affermazione ovvia ma è in realtà tutto ciò che viene messo in discussione oggi. L’atteggiamento politico e istituzionale nei confronti dei migranti e il conseguente sentimento ostativo della popolazione autoctona in generale può esser considerato il frutto di una distorsione, una narrazione errata sul concetto stesso del “cercare asilo”, molto spesso identificato con la sfera morale: una condotta sbagliata.

Il lento e devastante tessere di una rete di regolamenti e procedure, per il fine di arginare il “problema di fondo” (proteggere la sicurezza interna?) ha generato l’assurda condizione per cui si tentano di trovare tutti i modi possibili per rendere le richieste di asilo inaccessibili. Così, si potrebbe dire con le parole di Maria Paola Nanni (IDOS), assistiamo a un sempre maggiore “assottigliamento della linea tra accoglienza e trattenimento”. 

Cosa pretendiamo di capire da chi scappa dalla propria casa per salvare la propria vita? Quale prova tangibile vogliamo cercare della loro condizione a rischio? Un “certificato di persecuzione”? (Schiavone)

 

Ad introdurre la presentazione, le parole di Luca Di Sciullo (presidente del Centro Studi e Ricerche IDOS) che ha parlato della prospettiva securitaria performante delle legislazioni che normano la migrazione in Italia e in Europa, la quale da almeno cinquant’anni ha condotto alla triste e più che mai contemporanea realtà costituita da razzismo istituzionalizzato e pratiche di esclusione delle persone che migrano. 

 

«Ciò che mette davvero a repentaglio la sicurezza nazionale non sono i profughi che arrivano ai confini, ma è il trattamento disumano che, per legge, riserviamo loro in modo sistematico in tutti gli ambiti più fondamentali della vita, disconoscendone i diritti basilari e rendendo proibitiva la realizzazione dignitosa della loro persona».

 

Di Sciullo ha parlato di una doppia trasformazione antropologica che si è progressivamente messa in atto in questi anni: dal richiamo della violenza per perseguire “l’unità del branco” attraverso le dialettiche nazionalistiche, alla “cosificazione dei migranti” sui quali, per mezzo degli schermi proiettiamo i nostri sentimenti di oppressione ed esasperazione. Si potrebbe definire un razzismo 2.0, ha illustrato ancora il presidente: un razzismo che prevede la deumanizzazione del migrante il quale approda a “cosa”.

 

Condivisione civica, speranza, diritti: sono una necessità contemporanea. Luca Casarini (capo missione della nave Mare Jonio di Mediterranea Saving Humans) ha tenuto a sottolineare, parafrasando Hannah Arendt, che la democrazia non è mai sicura, va conquistata ogni giorno. E raccontando delle esperienze di salvataggio che porta avanti in mare – un mare che è nostro amico, tristemente trasformato dalle politiche nel mausoleo che è oggi – Casarini ha dato voce ad una “grande verità” secondo il mio parere poco considerata nel marasma dei discorsi sui migranti: «Noi li soccorriamo ma sono loro a salvarci dal precipitare del mondo che vedete proiettato nelle televisioni, quello lì è il loro mondo noi ne vogliamo costruire uno diverso».

 

Anche se brevemente e non in modo completo, ho tenuto a dedicare questo spazio alle parole e alle riflessioni aperte ieri dall’incontro della presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2023, in quanto sostengo siano state dense di significato e sia importante riportare alcune delle considerazioni emerse, così da poter tentare davvero di ripensare insieme un mondo diverso

Se ti interessa saperne di più vai al link www.dossierimmigrazione.it e facci sapere cosa ne pensi!

 

Nei prossimi articoli, utilizzeremo questa fonte fondamentale del Dossier per affrontare il discorso della percezione comune della persona migrante come criminale e della condizione reale delle persone straniere nelle carceri italiane

Per concludere, come di fatto ieri ha concluso Paolo De Nardis, presidente dell’Istituto di Studi Politici S. Pio V: «Oggi sono stati citati i numeri della migrazione, ma senza mai perdere di vista il filo rosso dell’urlo di battaglia di queste persone coraggiose, a dimostrazione che non è solo importante l’io ma anche il noi. Le nostre esistenze devono essere rivedute nello specchio del sé, perché l’alterità è una cosa bella, non solo da studiare ma anche da vivere».

La giustizia di classe

La giustizia di classe, secondo il nostro ricercatore spossato: L commenta la perplessità dell’esecutivo riguardo il recente provvedimento della Giudice di Catania. Le sue riflessioni principiano spesso dal profondo desiderio di non restare fuori dal mondo, di condividere il proprio punto di vista e dimostrare, un po’ a se stesso, ma soprattutto alle altre persone,  che la detenzione non deve necessariamente rappresentare una “chiusura” nei confronti di quel che accade all’interno della società per intero e di tutto quello che non riguarda in modo diretto l’universo totalizzante della reclusione e della pena.
LA GIUSTIZIA DI CLASSE SECONDO L

Vorremmo tanto che qualcuno spiegasse alla “nostra” basita (sic) Presidentessa, ma non chiamatela la “Presidentessa” altrimenti s’inca**a… (a tal punto da fare gioire Crozza che la “parodizza” in modo impareggiabile) vorremmo, dicevamo, che fosse a conoscenza che Montesquieu non era l’allenatore di una squadra di calcio francese, il Paris Saint. Germain o il Marseille ma il teorico della separazione dei poteri: quello esecutivo, legislativo e quello, se ne faccia una ragione, giudiziario. Non le hanno detto che anche chi ha il mandato popolare deve conformarsi alla Costituzione (Articolo 10) ed alle norme di diritto Internazionale

Lo straniero al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilita dalla Legge”.  

La vicenda è quella che riguarda la Giudice di Catania Dott.ssa Iolanda Apostolico che con un coraggioso provvedimento ha ritenuto illegittimo sostenere che la provenienza dalla Tunisia (Paese sicuro e democratico in realtà soltanto a parole) di alcuni poveri disperati possa essere una motivazione valida per il “fermo” e la detenzione degli stessi.

 

Verissimo, atteso che i “fermi” dovrebbero considerare la “posizione” degli esseri umani e non il Paese da cui provengono. Sui social già imperversa lo “squadrismo digitale” infarcito di apprezzamenti d’ogni sorta nei confronti della dottoressa Apostolico. 

Quelle della Giudice Iolanda Apostolico sono valutazioni giuridiche e non politiche.

Il fermo di Polizia disposto dal Questore sulla base di un  provvedimento incostituzionale del Governo doveva essere annullato. 

È tutto surreale, sembra di essere tornati ai tempi del Berlusca… ricordate? 

È un déjà-vu.

 

Il Cavaliere sì, proprio quello che aveva nella sua villa assunto come “giardiniere” uno stragista latitante e che con noncuranza urlava attraverso i “servi sciocchi” delle sue tv contro la magistratura milanese indicandola vergognosamente come “un’associazione a delinquere”, “un cancro da estirpare…” usando come corpo contundente, un giorno sì e l’altro pure vergognose leggi classiste ad personam partorite dal suo Esecutivo, ma pensa un po’ proprio lui … parce sepulto. 

La nuova Presidente qualche decennio dopo con toni più “rozzi” ha rispolverato lo stesso copione, lo stesso armamentario con esternazioni che sono una topica colossale.

 

Queste vicende riguardano tutti, anche noi detenuti appartenenti con modalità diverse alla categoria degli ULTIMI. Dobbiamo solidarizzare con gli altri detenuti, peraltro senza titolo, rinchiusi nei centri di detenzione. Bambini, donne, uomini con la sola colpa di aver cercato, disperatamente (con un’improbabile fuga verso la libertà), una vita dignitosa. 

Questo è il Belpaese della “bulimia normativa” delle improbabili “decretazioni d’urgenza” rovesciate poi sui social per carezzare gli istinti più bassi e feroci della gente. Politici che non creano il consenso con argomentazioni degne, semplicemente lo inseguono correndo dietro ai sondaggi.

Questo è “ il Belpaese “ dove si abolisce l’abuso d’ufficio, si vogliono inasprire le pene per il piccolo spaccio praticato da ragazzi che se non “recuperati”, una volta in carcere, finirebbero con il perfezionare ed approfondire le proprie abilità criminali.

Quando poi si deve perseguire la grande evasione fiscale con ridicole flatulenze verbali condite da ridicole giustificazioni, annunci e bla bla bla, si ricorre con sprezzo del ridicolo ai condoni.

 

È la giustizia di classe, bellezza.

 

L’ORSO-M49

 

Aborto libero e sicuro: my body my choice

«Mi dispiace essere la prima donna a intervenire, ma la quarta a intervenire. Qui si sta parlando di un problema che riguarda principalmente le donne e, come al solito, il dibattito prende avvio da due uomini… Io mi auguro che stasera ognuno di noi dimentichi che l’aborto non è un gioco politico. Che a restare incinte siamo noi donne, che a partorire siamo noi donne, che a morire partorendo o abortendo siamo noi. E che la scelta tocca dunque a noi. A noi donne. E dobbiamo essere noi donne a prenderla, di volta in volta, di caso in caso, che a voi piaccia o meno. Tanto se non vi piace, siamo lo stesso noi a decidere. Lo abbiamo fatto per millenni. Abbiamo sfidato per millenni le vostre prediche, il vostro inferno, le vostre galere. Le sfideremo ancora.»

ALESSIA

Era il 1976, Oriana Fallaci rendeva la sua posizione nel dibattito sull’aborto in una puntata di “AZ: un fatto, come e perché”; due anni dopo in Italia viene introdotta la legge 194. Una legge indubbiamente ambigua e ampiamente discussa ma della quale dobbiamo necessariamente riconoscere l’importanza per l’introduzione della libertà di scegliere sull’interruzione di gravidanza. Una libertà che come tutte le altre va rivendicata con forza ogni giorno, dal momento in cui sembra tristemente non essere scontata. L’ambiguità e la poca concretezza della legge 194 si palesa sul piano del quotidiano, nei racconti delle donne che hanno dovuto subire gli atteggiamenti pregiudiziali degli obiettori di coscienza, vittime di un sistema culturale che non “concede” alle persone la libertà di scelta sul proprio corpo e sulla propria vita ogni volta che pronuncia “il mito” dell’istinto materno.

 

«L’attuale legge 194 non garantisce un vero diritto all’aborto ma lo consente in determinati e specifici casi. Ha avuto il merito di arginare la piaga dell’aborto clandestino ma non ha in alcun modo garantito l’autonomo diritto di scelta. Noi chiediamo un autonomo diritto di scelta e autodeterminazione, per far sì che la libertà riproduttiva non incontri più ostacoli morali e amministrativi e possa essere liberamente accessibile per chiunque decida di interrompere una gravidanza.» 

 

La campagna “Libera di abortire” nasce il 20 maggio 2021 al fine di abbattere ogni tipo di ostacolo riguardo l’esperienza personalissima di scegliere di mettere al mondo un essere umano. Una scelta appunto così personale che oltre a dover essere garantita, direi anche che non può e non deve essere giudicata da nessunissima persona. Ad esempio io non vorrei mai sentire parole come “purtroppo l’aborto è una delle libertà delle donne” o cose simili, ma purtroppo le sentiamo tutte e tutti noi.

 

In una classe di quinto liceo, qualche anno fa, una professoressa di religione ha proiettato sul muro un video che sicuramente con la materia religiosa, almeno in termini di storia delle religioni, non aveva niente a che vedere: la vita di un embrione nel ventre della donna, insomma dalla formazione dello zigote in poi. Sarebbe potuta sembrare più una lezione di scienze che di religione. Questo almeno fino a quando la professoressa non ha bloccato il video al “primo trimestre” di gravidanza, più o meno il limite di tempo entro il quale una persona può scegliere di abortire. 

 

«Oggi in Italia la donna può richiedere l’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari.» 

Alla luce delle informazioni del video circa lo sviluppo del feto durante il primo semestre di gravidanza – si forma il sacco amniotico e la placenta; inizia il processo di generazione degli organi e a comparire gli arti – la professoressa ha chiesto alle sue studentesse se, dal momento che il feto aveva già un cuore, due braccia e due gambe, l’aborto potesse essere considerato un omicidio. 

Non molto appropriato come metodo di apertura di un dibattito su una questione così intima, come l’interruzione volontaria di gravidanza. Non solo possono esserci milioni di motivi differenti rispetto alla decisione di una persona di non dare al mondo un essere umano, ci sono almeno altrettanti atteggiamenti con cui si attraversa un’esperienza di questo tipo. Dietro ogni scelta c’è il volere di una persona, i suoi sentimenti al riguardo e le sue uniche e incontestabili ragioni: nessuno ha il diritto di accusare, sottostimare o stigmatizzare le donne che abortiscono liberamente, avendo pieno controllo sul proprio corpo e la propria vita.

Morire di lavoro

LE PAROLE DI L

Il paradosso di questi anni è che si debba constatare la morte violenta di chi lavora “per campare” e che ci si stia abituando a queste tragedie. Il lavoratore non è più garantito ed è visto semplicemente come una sorta di mezzo di produzione. Per dirla in breve non si vive più per lavorare ma si muore di lavoro. Il “liberismo feroce” di questi anni, quello del “digrignar di denti” di certe oligarchie finanziarie sostenitrici della produttività ad ogni costo, il laissez-faire hanno portato a questo. Cosa dovremmo fare imbavagliarci e stare zitti? Fare finta di nulla di fronte a queste stragi? 

 

È avvilente questo politicamente “corretto” dei nostri leader intriso di demagogia, ogni volta che muore un lavoratore. Dippiù: provoca conati di vomito. 

Sono gli stessi politici che hanno tolto il reddito di cittadinanza a quei lavoratori (in nero) che percepivano 3 euro l’ora. Non si era mai vista, come negli ultimi anni, un’inclinazione così feroce alla produttività ad ogni costo, con buona pace dell’Articolo 36 della Costituzione

 

 «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.»

 

Questi fatti vorrebbero che si desse esecuzione a provvedimenti di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Li faranno? Lo vorrei tanto.

 

Ci ostiniamo a credere che “un altro mondo sia possibile”. Proprio come quelli che urlavano, che manifestavano al G8 di Genova. (2001) Un altro mondo dev’essere possibile! L’Italia “derubata e colpita al cuore” quella che con grande intuizione aveva denunciato e previsto De Gregori non è il paese che vogliamo per le future generazioni

 

M49

È vietata la tortura: il XIX Rapporto di Antigone sulle condizioni di detenzione

ALESSIA

Ogni anno l’associazione Antigone raccoglie il frutto del suo prezioso lavoro nel Rapporto sulle condizioni di detenzione che delinea la situazione delle persone ristrette nelle Carceri d’Italia e apre a più ampie considerazioni e riflessioni sulle tematiche che maggiormente incidono sulla vita di chi sta dentro. Il diciannovesimo Rapporto di Antigone, come si evince dall’imperativo che fa da titolo “è vietata la tortura” reca tra gli approfondimenti il focus sul reato di tortura, la quale esistenza è stata recentemente messa in discussione. 

 

«Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona». 

 

Con l’articolo 613 bis è stato introdotto nel codice penale italiano il reato di tortura. Così, dal 14 luglio 2017 l’associazione Antigone ha ricevuto numerose denunce da parte di persone detenute che hanno dichiarato di essere state vittime di azioni di violenza.  

Come riportato nel Rapporto di Antigone, prima di questa data, il nostro ordinamento non contemplava neanche la parola “tortura”, per l’utilizzo della quale l’associazione stessa si è battuta a lungo: non possiamo chiamarle botte, percosse o minacce, è tortura. Tortura che per definizione dell’attuale codice penale consiste in tutta quella serie di azioni che producono una profonda sofferenza fisica e/o psichica alle persone già prive della propria libertà. Dunque violenze di ogni genere, intimidazioni continue e durature nel tempo considerate – a buon ragione – fattori di degrado per la dignità della persona che le subisce. 

 

Di fronte alle Nazioni Unite, nel 2010 “al vaglio dello Human Rights Council” l’Italia si opponeva all’istituzione del reato di tortura per quelle stesse motivazioni che alcuni oggi tentano ancora di proporre: «la legislazione italiana ha disposto misure sanzionatorie a fronte di tutte le condotte che possono ricadere nella definizione di tortura (…). Pertanto, la tortura è punita anche se essa non costituisce un particolare tipo di reato ai sensi del codice penale italiano». Solo due anni più tardi, è stata la mano di un giudice a riaprire la ferita. 

 

Nel 2012, durante un processo seguito dall’associazione Antigone due persone ristrette nel carcere di Asti denunciavano di essere stati vittime di gravi atti di tortura. 

«I fatti avrebbero potuto agevolmente qualificarsi come tortura (ma) in Italia non è prevista alcuna fattispecie penale che punisca coloro che pongono in essere comportamenti che (universalmente) costituiscono il concetto di tortura». Quel “ma” ha un peso così importante. Pesa ancora oggi, se si pensa a tutte quelle persone che prima del 2017 non avevano alcun potere di fronte alle azioni di violenza prolungate nel tempo dai propri carnefici i quali gesti, seppure accusati, non sarebbero stati riconosciuti dalla legge come atti di tortura. Quelle azioni di tormento, ad oggi penalmente punibili, potrebbero tornare ad essere “legittimate” perché, qualcuno ha detto, la legge sul reato di tortura impedirebbe agli agenti di fare il loro mestiere… quello di infliggere supplizi?

La sentenza del 2012 e le parole del giudice hanno inevitabilmente fatto luce sulla mancanza di strumenti giuridici per rispondere alla tortura e ha richiamato l’attenzione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, grazie al cui necessario intervento dopo cinque anni è stato introdotto l’articolo di cui sopra.  

 

«Un testo non perfetto, ma che permette oggi di pronunciare quella parola nelle aule di tribunale. Tornare indietro non si può, come fortemente abbiamo voluto sottolineare con il titolo del presente Rapporto» – c’è scritto nel Rapporto di Antigone.

Non si può tornare indietro, sarebbe contro ogni principio e senso di umanità, ingiustamente scorretto nei confronti delle persone che nonostante siano recluse per aver commesso reati, restano persone appunto.

D’altronde, concordiamo con  Zerocalcare: i principi non vanno a simpatia.

 

Un borghese piccolo piccolo

Il seguente articolo, redatto dal nostro ricercatore spossato, famelico e instancabile sognatore di un mondo senza pregiudizi e diseguaglianze, ruota attorno al tema del giovane borghese: dal titolo di un film degli ultimi anni Settanta, diretto da Mario Monicelli e tratto dall’omonimo romanzo di Vincenzo Cerami. Il film sembra rappresentare una resa incondizionata alla trasformazione della società, riflessa nella figura del Vivaldi. 
Monicelli, secondo il critico cinematografico Gian Piero Brunetta intende affermare l’«irrappresentabilità degli italiani, per perdita irreversibile di tutti i caratteri positivi».
LE PAROLE DI L

“Pensa a te Mario, pensa solo a te figlio mio. Per noi gli altri non esistono. L’ha detto uno che c’aveva due palle così”. 

Sono parole di Alberto Sordi in veste di Giovanni Vivaldi che parlava a suo figlio. Un grandissimo ed indimenticabile film del 1977. Quel personaggio, Giovanni Vivaldi è attualissimo, ci riporta al “familismo patologico” di un certo recente populismo. Un “familismo” che nel suo involucro populista non cura le ingiustizie sociali, ma le amplifica rischiando di farle “esplodere”. 

 

È successo 100 anni fa in Italia e negli anni ‘30 in Germania. C’è una preoccupante onda che si sta estendendo in tutta Europa. Non c’è “chiave” di lettura migliore per interpretare quanto si sta verificando. 

 

Negli ultimi decenni c’è stata una globalizzazione distorta dai mercati internazionali che ha finito con l’aumentare dei conflitti sociali creando nella “piccola borghesia”, nei giovani “Vivaldi” ansie e paure su temi sociali, economici e identitari.

 

Il giovane “Vivaldi” del XXI secolo di memoria “sordiana” chiede certezze, leader dalla postura feroce. Accetta e sostiene, ma non lo sa ancora, la retorica e la demagogia che gli viene malignamente inculcata.

“Il borghese piccolo piccolo” vive nel familismo più feroce, vede nella “difesa etnica” dei confini, dei muri e di quelli ideologici qualcosa di “salvifico”.

 

Il giovane “Vivaldi” del XXI secolo disprezza gli ultimi, gli emarginati, i profughi, i diversi, gli omosessuali. Vede in essi la causa del suo malessere. Quando il “borghese piccolo piccolo” non crede più a niente, ecco che finisce di credere a tutto. Anche a queste oscenità, a questi luoghi comuni. 

 

“Ma noi dobbiamo vivere e sopravvivere senza perderci d’animo mai!” –  sono d’accordo con te, Vasco. 

M49 (L’orso)