Cooperativa sociale che offre servizi di ascolto, orientamento, formazione, accoglienza rivolti a detenuti/e, ex detenuti/e e persone che vivono in condizione di disagio sociale.

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Vissuti di dentro: racconti di incontri, legami e domandine

Lo scorso febbraio, in seguito a un commento ricevuto sotto un nostro post, un ex detenuto e utente della cooperativa ha deciso di condividere con noi la sua voce che oggi raccontiamo qui. Domenico è uscito definitivamente dal carcere nel 2022, un passato non molto lontano, ma è oggi libero e sereno perché “ha pagato tutto” e “non ha più nulla da nascondere”. La nostra chiacchierata inizia più o meno così: 

A. «Posso registrare?»

D. «Sì va bene tanto io non ho niente da nascondere, non ho più niente da nascondere. ‘Na volta sì adesso no».

LE PAROLE DI DOMENICO

Io ho conosciuto il PID nel 2005 dopo l’ennesima domandina che ho fatto, perché ne ho fatte svariate per poter parlare con un’operatrice del PID, eh!

Nel 2008 sono uscito e mi sono affidato al PID perchè io tutte le volte che sono uscito prima me ritrovavo sempre in mezzo alla strada e dovevo sempre fa’ reati, come me tanti altri detenuti che non hanno nessuno, nessun riferimento, nessuna opportunità diciamo. 

E il PID mi ha aiutato. Mi ha inserito nelle borse lavoro e mi sono trovato bene, non ho fatto più reati. E non mi hanno mai abbandonato, neanche in queste altre occasioni perché lo sapevano che io ormai ero uscito da tutto il contesto di delinquenza. 

Poi ho avuto altre carcerazioni, nel 2015 e nel 2019 ma erano tutte cose vecchie, prima del 2005 che sono andate definitive perché come si sa i processi vanno per le lunghe. 

 

A.«La famosa giustizia lenta?»

D. «Ma non direi lenta, lentissima».

Mi sono affidato a loro e sono riuscito adesso nel 2022. Grazie al PID però, perché mi ha dato una grande mano facendomi conoscere un’avvocatessa seria e mi ha salvato perché sennò il mio fine pena era il 2034.

Un lungo percorso “dentro” 

Ho cominciato con Porta Portese da minorenne e l’ho chiusa diciamo nel ‘67/’68. L’ex carcere minorile sarebbe. Poi sono andato a Regina Coeli, Rebibbia, San Vittore. Perché andavo pure fuori a lavorà, tra parentesi. San Vittore, Livorno, Firenze (sempre da minorenne) in Via della Scala; Chieti, dopo la rivolta del ‘74 a Rebibbia. Perché stavo là io quando c’è stato tutto il casino e abbiamo distrutto tutto quanto.

A. «Hai partecipato alle rivolte?»

D. «Si, ho fatto un casino lì. Ancora ero un ragazzo che la testa non c’era».

Entravo, uscivo, entravo, uscivo. Mi ritenevo l’omo più bevuto d’Italia

Che poi quando uscivo mi ritrovavo un’altra volta per strada… Dovevo campare, dovevo mangiare. Non avevo famiglia, non avevo niente.

Le domandine in carcere

In carcere devi fare domandina per tutto, per tutto ci vuole la domandina: per poter parlare con l’assistente sociale, per poter parlare con la psicologa, per poter parlare con il direttore, con il “capo posto” (il capo del reparto). 

Per fare entrare dentro un paio di scarpe nuove ad esempio, perché le vecchie sono rotte, devi darle prima indietro (le vecchie) altrimenti non entrano (le nuove). 

 

E certe domandine si perdono, diciamo si perdono… Tante le cestinano e invece tante si perdono. La domandina è tutto, senza domandina in carcere non ci fai niente.

Molte però, forse la maggior parte vengono perse. Io per poter parlare col PID ho fatto innumerevoli domandine. Finalmente poi mi hanno chiamato “Domenico? Devi anna’ a parla’ col PID”. “Oddio che sta a succede!”

Gli affetti da dentro e le feste in carcere

Allora uno che fa quando non trova un aiuto e si ritrova per strada?

Questo è quello che dicevo io… 

 

E lì ho passato svariati Natali, Natali brutti. Natali dove ho visto tanta gente, “criminali per davvero”, che in quei giorni la soffrivano veramente la galera. La soffrivano proprio perchè la gente diceva “sì, so criminali e tutto quanto” ma dentro c’hanno sempre ‘ncore. Hanno i figli, le famiglie, le madri, i padri che hanno lasciato fuori.E per quanto delinquenti senti che ti mancano quando arrivano questi giorni particolari. 

Sono gli affetti che mancano, mancano.

Io ce ne avevo pochi di affetti in quei periodi. Dopo ce ne ho avuti tanti, nel 2005 i miei due figli. Nel 2019 mio figlio era in clinica, ricoverato che ora sta male e lo seguo io, viviamo insieme perché da solo non può stare. Stiamo io e lui, lo aiuto con le terapie e quello che deve fare. Stiamo tranquilli.

A. «Quindi hai trovato la tua serenità in qualche modo?»

D. «Sisi, adesso sì. E cerco di dargliela pure a lui».

Torneremo a Domenico e alla storia, ai suoi preziosi racconti e alle sue parole desiderose di una giustizia che non dimentichi nessuno.

La storia di Giacomo – la fuga

Per sei/sette anni, poi ci sono stati i problemi.

Che problemi vuoi sapere tu eh?

 

Il sorriso si smorza sul suo volto e si comincia  a toccare nervosamente le mani – Eh, perché me ne volevo uscì fuori e purtroppo una volta che sei entrato dentro…

 

Si ferma e capisco che le cose non erano come se le immaginava.

 

CONTINUA

 

Tra il 2009 e il 2019 Laura raccoglie la testimonianza di Giacomo. Giacomo, un ex detenuto ed ex utente del PID racconta la sua storia, condivide il suo percorso: dalla scelta di delinquere al carcere, alla misura alternativa. Abbiamo deciso di ripescare le sue parole e consegnarle allo spazio del blog un po’ alla volta. Così da darci il tempo di riflettere sulle esperienze vissute dal protagonista e tentare di ascoltarlo, comprenderlo e accoglierlo; evitando di cadere nella banalità di definire cos’è buono e cos’è cattivo senza considerare la complessità degli eventi che percorrono il quotidiano di un uomo. 

“Il racconto di storie è un’educazione dell’attenzione”.

Tim Ingold

Non era una batteria autonoma, era legata alla malavita del casertano, solo che a un certo punto gli ho detto “non mi conviene più, io devo rischiare la galera per gli spiccioli. Non gli spiccioli però, è un bel guadagno, però… me ne posso guadagnare molti di più da solo. Ed è successo il patatrac! Mi hanno minacciato, mi hanno puntato il coltello e mi hanno tagliato guarda qua – mi fa vedere una cicatrice – ho avuto paura, perché non me ne potevo uscire se no mi ammazzavano, che poi chi sta in mezzo alla strada lo sa che ci stanno pericoli, ma non così.

 

Poi un avvocato mi ha detto che cominciavo ad avere qualcosa di penale e me ne sono andato, tanto ero bruciato perché avevo delle pendenze penali e mi potevano scoprire.

Dopo che mi hanno minacciato… Beh, la mia famiglia a casa sapeva tutto, ma quando sono arrivato a casa tagliato con i punti è stato diverso. Parlando con l’avvocato e pensando a questa gente, in accordo con la famiglia, abbiamo deciso che dovevo andare via, lontano. Che poi ho fatto bene perché a quest’altra persona che se ne voleva uscire lo hanno sparato in Francia, chi era? Era  quello che dirigeva, ma lui ha continuato troppo perché quando sono arrivati i computer tutte le banche si sono accorte. Prima non usciva niente dai computer: i documenti, i numeri, le serie, non usciva niente. Io me ne sono andato perché avevo paura che mi ammazzassero, ho chiamato un fratello che stava lì in America e lui anche lo sapeva, sapeva tutto: gli ho detto “arrivo” e sono andato.

 

Sono partito con il passaporto falso, ma originale – come ti raccontavo prima per le carte di identità – ma col nome mio, la foto mia. In America mi hanno fatto spaventare a Philadelphia, non mi ricordo come era la storia, però c’era una bomba quando sono arrivato. C’erano le Olimpiadi a  Chicago e pensavano ci fosse una bomba e così tutti gli stranieri li hanno fatti stare 5/6 ore fermi, poi ci hanno lasciati passare.

 

Si ferma e raccoglie i ricordi, sono vivi e lontani allo stesso tempo ed è come se li scorresse mentre si narra, va avanti poi si ricorda un particolare divertente o importante per lui e li riavvolge, come si faceva con le musicassette con il rewind …e ricomincia con più colori,odori, più immagini e personaggi come se piano piano venissero fuori uno alla volta da dietro un sipario di velluto rosso.

 

C’era l’interprete all’aeroporto: mi hanno chiesto perché il passaporto fosse così pieno di timbri.

Quando mi hanno fatto il passaporto – mica so “fess” – sono andato in Romania, in Jugoslavia, per avere i timbri. Quindi quando mi hanno domandato perché era così rovinato, io gli ho detto che facevo  l’autista e che me lo mettevo in tasca, nei jeans. E quando hanno finito con le domande, non me lo scordero mai, è arrivato un uomo gigante, me lo ha sbattuto in mano e mi ha fatto “Vai fuori, via. Vai in America”. 

 

Era l’89, e non c’era il computer che subito si guarda, ora sanno tutto ma prima non era così.

La storia di Giacomo è complicata tortuosa e avventurosa eppure lui è un uomo così semplice, è emotivo e ansioso. Così ansioso che mi domando come abbia fatto ad affrontare tutte queste trasformazioni, ma nessuno di questi passaggi credo sia stato indolore. E così domando “Cosa hai provato? Cosa sentivi?”

 

Eh, quando sono partito io non me lo posso mai scurda: c’era la canzone di Gianni Morandi che cantava “Dai che ce la fai”. Mi è venuto a prendere mio fratello all’aeroporto, mi ha fatto aspettare 3 ore seduto, le ore più brutte. Non lo vedevo da 5- 6 anni, ma non è quello: è stato uno dei momenti più brutti perché l’ho aspettato da solo con i bagagli in mezzo alla strada, non parlavo la lingua, lì da solo sembrava che il tempo non passasse mai. Poi mi ha preso e mi ha portato a casa.

E quando  ho visto Los Angeles… madonna mia!

 

CONTINUA

Il cibo in giro per il mondo

Viaggio da quando avevo tre anni: sono venuto dalle Marche qui a Roma perché avevamo un forno di famiglia, ma non ho coltivato negli anni questa professione, quindi effettivamente è come se non avessi mai lavorato come panettiere, non sarei in grado oggi di fare il pane; certe cose le dimentichi, non è “come andare in bicicletta”.

 

Questo articolo nasce dalla curiosità di chiedere a R in che senso non mangia “all’italiana”, come ripete spesso. Nella sua vita piena di viaggi e nuove esperienze, quali sono le cose più strane che ha mangiato? 

 

Io ho viaggiato molto, credo di essere stato in più di 100 posti e di aver preso più di 50 aerei nel corso della mia vita, mi spostavo in aereo da un posto all’altro anche perché era più economico. Ovviamente non mi spostavo solo con l’aereo, ad esempio prendevo spesso i bus. Uno dei ricordi più divertenti è sicuramente quello dei pullman in Sud America: i pullman pieni, le persone ammassate insieme ai polli, ai maiali, gli odori forti (tremendi) – non potete immaginare quante risate!

Per rispondere alla domanda a cui ruota attorno il discorso posso dire che avendo visto così tanti posti, molto diversi tra loro, mi sono abituato a mangiare di tutto.

Cina, Giappone, Thailandia, Cuba, Brasile, Santo Domingo, Venezuela, Isla Margarita, Finlandia, Romania, Germania, Argentina, Portogallo, Russia, Francia, Irlanda, Inghilterra …

 

  1. Dove ho mangiato meglio? Sempre in Italia;
  2. Consigli sul cibo nel mondo;
  3. La scelta di girovagare.

Dove ho mangiato meglio? Sempre in Italia! 

In Asia alla fine mangi sempre le stesse cose, il riso e il sushi, punto. La stessa cosa in Sud America: pollo e riso; in India, le spezie. 

Ero curioso, come lo sono tuttora, di conoscere sempre nuovi sapori e di entrare in contatto con la diversità ma non posso dire che ho mai assaggiato qualcosa, a gusto mio, migliore del cibo italiano. Cioè l’unica cucina che mi faceva sognare era quella italiana, su questo non ci piove!

Ho provato di tutto, certo, perfino il coccodrillo, la tartaruga, la pinna di squalo, il pesce palla in Giappone: quest’ultima in particolare era una carne molto costosa, prelibata. Non assaggiavo mica tutto, con gli occhi vedevo subito le cose che non mi piacevano per cui non so dirvi quale sia stata la cosa peggiore che abbia mangiato. Ad esempio, ancora in Giappone mangiano molto la carne di balena e io non l’ho mai provata. 

Alle bancarelle in Thailandia c’erano questi spiedini con gli scorpioni, le cavallette e gli scarafaggi: non mi ci sono mai neanche avvicinato!

Insomma le cavallette, magnatele tu!

Una cosa particolare che ho mangiato in Thailandia sono gli spaghetti di serpente: c’era questo serpente simile ad un anguilla, lo tagliavano e spellavano, poi lo sfilacciavano e ci facevano gli spaghetti ma non è che erano una specialità. Li ho mangiati solo per farmi vedere “forte”. Complessivamente l’Asia, a parte il riso, non ha buon cibo. La pasta non la mangiano, ci provano a farla ma non è niente in confronto alla nostra; idem la pizza. 

La cucina giapponese è buona, soprattutto il pesce e la carne ma mangiare la cucina italiana all’estero è una follia: insomma in molti ci provano ma sarebbe meglio che non lo facessero. 

Consigli sul cibo nel mondo

Se mai doveste andare in Sud America, mangiate la frutta! La frutta di lì non la trovate da nessuna parte, soprattutto non così buona; anche i granchi di mare sono ottimi, ma purtroppo pieni di colesterolo. In Sud America è tutto allevato a terra, come qui una volta, per cui il pollo ad esempio è molto molto buono. Se si parla di carne però mi viene in mente l’Argentina che è il posto forse migliore per la qualità della carne!

Uno dei miei posti preferiti che porterò sempre nel cuore resta la Nuova Zelanda, bellissima soprattutto perchè piena di vigneti, un paesaggio naturalistico veramente da mozzare il fiato – oltre alla bontà del vino. Ho visitato l’Isola di Pasqua e le sue famosissime statue, per me che non sono mai stato interessato a certe cose, è stata una piacevole sorpresa.

Non amo cucinare quindi non saprei consigliarvi vere e proprie ricette da provare: sono sempre stato viziato dalle persone che vivevano con me e cucinavano al posto mio. Certo che se ne ho bisogno cucino ma non ho una forte passione.

La scelta di girovagare

E se di passioni parliamo, devo dire che ne ho perse molte negli anni, per questo anche mi annoio parecchio ora che sono in detenzione domiciliare e non posso uscire liberamente. Prima mi piaceva dipingere e suonare il basso, credo fossi anche abbastanza bravo ma non ho coltivato nè l’una nè l’altra perciò ho perso manualità.

Di musica in giro per il mondo ne ho sentita tanta, sempre diversa: mi è piaciuta soprattutto quella del Sud America e anche quella africana ma non tutta, dipende dalle varie zone. La musica asiatica in generale non mi piace, in particolar modo quella indiana. 

Non ho coltivato amicizie nei vari posti perché effettivamente le persone che ho conosciuto erano per la maggior parte dei delinquenti peggio di me, però spesso per cultura o per le condizioni che la vita gli ha imposto.

Non mi fermavo praticamente mai ed è certo che per fare tutto questo ho commesso degli errori, sono ingordo di vita: non è una giustificazione. Amo la mia libertà e oggi non sono proprio felice della mia situazione. Una volta fuori vorrei riprendere a viaggiare, dopo aver rimesso a posto tutta la questione dei documenti. Non penso di andare troppo lontano però, a un certo punto ti stanchi di girare sempre e io penso che alla fine ogni età ha le sue fasi

Mica come una volta … Mia madre mi diceva “Ma non ti sei stufato di girare sempre? Non ti basta una vita e ne hai fatte già 3!”.

Il posto che consiglierei di visitare a fondo è in primis l’Italia, solo dopo il Sud America (tutto), ma anche la Finlandia, l’Irlanda: insomma, il mondo è tutto bello e viaggiare serve per sviluppare al meglio lo spirito di adattamento.

 Non è mica semplice confrontarsi con la diversità.