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La storia di Giacomo – la fuga

Per sei/sette anni, poi ci sono stati i problemi.

Che problemi vuoi sapere tu eh?

 

Il sorriso si smorza sul suo volto e si comincia  a toccare nervosamente le mani – Eh, perché me ne volevo uscì fuori e purtroppo una volta che sei entrato dentro…

 

Si ferma e capisco che le cose non erano come se le immaginava.

 

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Tra il 2009 e il 2019 Laura raccoglie la testimonianza di Giacomo. Giacomo, un ex detenuto ed ex utente del PID racconta la sua storia, condivide il suo percorso: dalla scelta di delinquere al carcere, alla misura alternativa. Abbiamo deciso di ripescare le sue parole e consegnarle allo spazio del blog un po’ alla volta. Così da darci il tempo di riflettere sulle esperienze vissute dal protagonista e tentare di ascoltarlo, comprenderlo e accoglierlo; evitando di cadere nella banalità di definire cos’è buono e cos’è cattivo senza considerare la complessità degli eventi che percorrono il quotidiano di un uomo. 

“Il racconto di storie è un’educazione dell’attenzione”.

Tim Ingold

Non era una batteria autonoma, era legata alla malavita del casertano, solo che a un certo punto gli ho detto “non mi conviene più, io devo rischiare la galera per gli spiccioli. Non gli spiccioli però, è un bel guadagno, però… me ne posso guadagnare molti di più da solo. Ed è successo il patatrac! Mi hanno minacciato, mi hanno puntato il coltello e mi hanno tagliato guarda qua – mi fa vedere una cicatrice – ho avuto paura, perché non me ne potevo uscire se no mi ammazzavano, che poi chi sta in mezzo alla strada lo sa che ci stanno pericoli, ma non così.

 

Poi un avvocato mi ha detto che cominciavo ad avere qualcosa di penale e me ne sono andato, tanto ero bruciato perché avevo delle pendenze penali e mi potevano scoprire.

Dopo che mi hanno minacciato… Beh, la mia famiglia a casa sapeva tutto, ma quando sono arrivato a casa tagliato con i punti è stato diverso. Parlando con l’avvocato e pensando a questa gente, in accordo con la famiglia, abbiamo deciso che dovevo andare via, lontano. Che poi ho fatto bene perché a quest’altra persona che se ne voleva uscire lo hanno sparato in Francia, chi era? Era  quello che dirigeva, ma lui ha continuato troppo perché quando sono arrivati i computer tutte le banche si sono accorte. Prima non usciva niente dai computer: i documenti, i numeri, le serie, non usciva niente. Io me ne sono andato perché avevo paura che mi ammazzassero, ho chiamato un fratello che stava lì in America e lui anche lo sapeva, sapeva tutto: gli ho detto “arrivo” e sono andato.

 

Sono partito con il passaporto falso, ma originale – come ti raccontavo prima per le carte di identità – ma col nome mio, la foto mia. In America mi hanno fatto spaventare a Philadelphia, non mi ricordo come era la storia, però c’era una bomba quando sono arrivato. C’erano le Olimpiadi a  Chicago e pensavano ci fosse una bomba e così tutti gli stranieri li hanno fatti stare 5/6 ore fermi, poi ci hanno lasciati passare.

 

Si ferma e raccoglie i ricordi, sono vivi e lontani allo stesso tempo ed è come se li scorresse mentre si narra, va avanti poi si ricorda un particolare divertente o importante per lui e li riavvolge, come si faceva con le musicassette con il rewind …e ricomincia con più colori,odori, più immagini e personaggi come se piano piano venissero fuori uno alla volta da dietro un sipario di velluto rosso.

 

C’era l’interprete all’aeroporto: mi hanno chiesto perché il passaporto fosse così pieno di timbri.

Quando mi hanno fatto il passaporto – mica so “fess” – sono andato in Romania, in Jugoslavia, per avere i timbri. Quindi quando mi hanno domandato perché era così rovinato, io gli ho detto che facevo  l’autista e che me lo mettevo in tasca, nei jeans. E quando hanno finito con le domande, non me lo scordero mai, è arrivato un uomo gigante, me lo ha sbattuto in mano e mi ha fatto “Vai fuori, via. Vai in America”. 

 

Era l’89, e non c’era il computer che subito si guarda, ora sanno tutto ma prima non era così.

La storia di Giacomo è complicata tortuosa e avventurosa eppure lui è un uomo così semplice, è emotivo e ansioso. Così ansioso che mi domando come abbia fatto ad affrontare tutte queste trasformazioni, ma nessuno di questi passaggi credo sia stato indolore. E così domando “Cosa hai provato? Cosa sentivi?”

 

Eh, quando sono partito io non me lo posso mai scurda: c’era la canzone di Gianni Morandi che cantava “Dai che ce la fai”. Mi è venuto a prendere mio fratello all’aeroporto, mi ha fatto aspettare 3 ore seduto, le ore più brutte. Non lo vedevo da 5- 6 anni, ma non è quello: è stato uno dei momenti più brutti perché l’ho aspettato da solo con i bagagli in mezzo alla strada, non parlavo la lingua, lì da solo sembrava che il tempo non passasse mai. Poi mi ha preso e mi ha portato a casa.

E quando  ho visto Los Angeles… madonna mia!

 

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La storia di Giacomo – delinquere

Tra il 2009 e il 2019 Laura raccoglie la testimonianza di Giacomo. Giacomo, un ex detenuto ed ex utente del PID racconta la sua storia, condivide il suo percorso: dalla scelta di delinquere al carcere, alla misura alternativa. Abbiamo deciso di ripescare le sue parole e consegnarle allo spazio del blog un po’ alla volta. Così da darci il tempo di riflettere sulle esperienze vissute dal protagonista e tentare di ascoltarlo, comprenderlo e accoglierlo; evitando di cadere nella banalità di definire cos’è buono e cos’è cattivo senza considerare la complessità degli eventi che percorrono il quotidiano di un uomo. 

 

«Tutto sta nell’osservare le persone, osservare significa tentare di capire i loro comportamenti e capirle significa già perdonarle. La gente finge non perché è cattiva. Finge per paura […] o per amore. Il problema è se riconosciamo queste finzioni in modo generoso, senza fare distinzioni tra Bene e Male

Krzysztof Kieślowski

Io sono arrivato qua, in questa casa di accoglienza perché non volevo tornare a casa, volevo evitare di far parlare la gente del paese, l’ho fatto per la mia famiglia: perché la gente parla.

Ti devo  raccontare come sono arrivato qui, la mia storia. Sono arrivato qui in casa famiglia perché stavo in carcere.

 

È una storia complicata … 

Ho perso il  lavoro che avevo 45 anni più o meno, facevo il meccanico; ho bussato un po’ in giro cercando e niente. Non trovavo niente. Un giorno un amico mi ha detto che non c’era nessun problema e che, visto che ero una persona affidabile poteva farmi fare un lavoro. E così è cominciata. 

Lui mi ha detto che c’era un rischio. L’ho fatto due/tre volte, ed è andata bene. Così un po’ alla volta… lui mi dava dei documenti falsi, mi dava degli assegni, io andavo in banca e li cambiavo.

 

E ho cominciato così. Il guadagno era buono, cambiavo assegni circolari e guadagnavo il 35 % dell’importo degli assegni, era un bel mestiere, non era male: un bel guadagno. All’epoca si poteva fare perché non c’era il computer e in banca non c’erano le telecamere.

Non ero agitato, ero tranquillo quando “lavoravo”, l’ho fatto bene per tanti anni. Entravo sicuro che io ero quella persona e basta.

 

Eh, come facevamo? – vuoi sapere – Eravamo una batteria è logico, io ero sempre da solo in banca, non mi piaceva stare con gli altri. Facevo tutto da solo.

Sui documenti c’era la mia fotografia e la carta d’identità, tutto. Erano originali, mi davano il documento, io partivo e me ne andavo: Torino, Milano, Bologna … dove mi dicevano di andare.

Era un documento vero del comune, però falso: con la mia fotografia, nome e cognome dell’assegno. Logico, c’era qualcuno che sfilava (rubava) le carte d’identità prestampate del comune originali e le dava a quello che si occupava dei documenti.

Consegnavo l’assegno e la lettera della ditta, ovviamente non so come facessero di preciso a prendere i documenti originali, avevano un uomo al comune, credo, che li sfilava. Poi c’era uno proprio che faceva i documenti e metteva pure i timbri, tutto insomma.

Tra di noi  ci conoscevamo tutti, gli unici che non ho mai visto sono i postini. Loro prendevano gli assegni: erano quelli che facevano il primo passaggio. I postini vendevano gli assegni a queste ditte… diciamo “ditte”.

 

Se avevo dei travestimenti? – sorride e con aria un po’ fiera dice – È logico, ogni documento aveva  il suo personaggio. Era come fare l’attore: io avevo sempre il genere “perito agricolo”, era il mio ruolo. A volte ero infermiere diplomato, ero un sacco di cose, ma andava bene, ero bravo.

E una volta sono stato addirittura cardinale: quella  volta mi hanno detto “ci sono diversi assegni piccoli li devi mettere tutti insieme e li devi prendere”; mi sono messo il vestito scuro da cardinale con la crocetta, l’anello, tutto e ho portato due ragazzi con me pure loro vestiti da prete e non c’è stato nessun problema. Era l’88 – ride – con la macchina, il mercedes, siamo andati e tutto apposto ce li hanno dati.

 

Gli assegni erano da 5 milioni (di lire) in poi, non conveniva andare in banca per gli spiccioli logico, assegni piccoli? No, no, c’era il rischio. Ero io che dovevo combattere col cassiere, ero io che dovevo convincerlo, parlarci. L’ho fatto bene, lo facevo bene. Per ogni personaggio ci andavo come ci dovevo andare: se ero un meccanico mi mettevo la tuta e ci andavo. Per sei/sette anni, poi ci sono stati i problemi.

Che problemi vuoi sapere tu eh?

 

Il sorriso si smorza sul suo volto e si comincia  a toccare nervosamente le mani – Eh, perché me ne volevo uscì fuori e purtroppo una volta che sei entrato dentro…

 

Si ferma e capisco che le cose non erano come se le immaginava.

 

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