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Nel microcosmo carcerario italiano, le persone straniere detenute sono spesso trattate come un’unica categoria omogenea, senza considerare le specificità delle diverse comunità di provenienza. Come espresso da Antigone nel Ventesimo rapporto sulle condizioni di detenzione in Italia, sarebbe invece opportuno avviare una riflessione che complessifichi la realtà, sia per le politiche penali, sia per le opportunità di accesso alle misure alternative alla detenzione. 

Secondo i dati rilevati da Antigone, al 31 marzo 2024 la popolazione detenuta straniera nelle carceri italiane per adulti è pari al 31,3% di quella totale. Una percentuale in calo che rappresenta un significativo abbassamento rispetto ai picchi registrati nel passato, quando la percentuale superava il 37%. Negli anni 2008-2013, il numero degli stranieri in carcere non è mai sceso sotto le 20.000 unità. 

Il tema della sicurezza, di cui abbiamo discusso ampiamente in altri articoli e che ci riporta inevitabilmente anche al lavoro del Dossier statistico immigrazione 2024, è in gran parte un esercizio di propaganda. In realtà, focalizzarsi solo su questi numeri non aiuta a sviluppare politiche efficaci di prevenzione o di giustizia sociale.

 

Emerge un dato interessante riguardo la questione delle persone straniere ristrette in Italia, cioè quello relativo al tasso di detenzione degli stranieri: la percentuale degli individui detenuti rispetto alla popolazione straniera residente in Italia. Secondo i dati Istat, la popolazione straniera in Italia è cresciuta negli ultimi quindici anni, passando da 3,89 milioni di persone nel 2009 al 5,14 milioni nel 2023, pari all’8,7% della popolazione totale

Nonostante questo aumento, il numero di persone straniere detenute in carcere è diminuito, il che smentisce l’idea di una “emergenza criminalità” legata all’immigrazione.

Nel 2024 il tasso di detenzione per gli straniere è sceso allo 0,37%, con un calo complessivo di 0,24 punti percentuali negli ultimi 15 anni. Questo riflette una tendenza positiva che suggerisce che le politiche di regolarizzazione e integrazione (quando funzionano) hanno un impatto positivo sulla riduzione della criminalità, contribuendo a una minore incidenza di reati tra gli stranieri.

 

Quando si analizza la popolazione carceraria straniera, è fondamentale anche considerare le specificità delle singole nazionalità. Ogni gruppo presenta sfide e caratteristiche diverse, legate tanto al contesto socio-politico di provenienza quanto alle difficoltà incontrate in Italia a causa dei pregiudizi e gli stereotipi xenofobi fomentati e legittimati dalle poetiche nazionalistiche che urlano alla “difesa dei confini”. L’ordinamento penitenziario prevede nella teoria un trattamento personalizzato della persona ristretta che tenga conto delle differenze culturali, sanitarie e sociali.

Riprendendo ancora il Dossier, nello specifico il contributo di Sofia Antonelli (Associazione Antigone) leggiamo:

«Nonostante la loro contrazione, gli stranieri in carcere continuano ad essere sovra- rappresentati rispetto alla loro incidenza sulla popolazione residente in Italia. Indigenza ed emarginazione sociale aumenta, insieme al rischio di commettere reati, quello di finire in carcere anche solo per attendere la condanna o per scontare una pena breve, che invece potrebbe essere espiata con una misura di comunità. […] A prescindere dalla gravità del reato, più si adottano misure contenitive, più cresce la sovra-rappresentanza degli stranieri, visto che per gli italiani resta più facile accedere a percorsi alternativi alle restrizioni del sistema penale. Ciò è ancor più vero per i minori stranieri, la cui sovra-rappresentanza negli istituti minorili è anche più alta di quella degli adulti. Sebbene tra tutti gli infra-25enni residenti in Italia gli stranieri rappresentino l’8%, al 15 giugno 2024 quelli in carico dei servizi di giustizia minorile rappresentavano il 23% del totale e, dei 555 ragazzi detenuti negli istituti penali per minorenni (Ipm), quelli di origine straniera erano 266, il 48%.»